La Stampa, 27 novembre 2015
«Dopo un 6-1 si riparte dalla vergogna». Consigli da Trapattoni
Più che uno slogan, una certezza. «Chi pensa che la Juve sia estranea alla corsa scudetto è fuori strada: il gatto non è nel sacco». Giovanni Trapattoni si autocita, si emoziona e si diverte: respira l’aria di Torino a pieni polmoni, dove ieri sera ha presentato la sua autobiografia «Non dire gatto» al Circolo dei Lettori nel centro della città, e gli occhi diventano lucidi. «Mi sento a casa perché qui ho vissuto i momenti più belli della mia vita: ero un allenatore sconosciuto e grazie a Boniperti sono arrivato in cima al mondo».
Giovanni Trapattoni, tra pochi giorni si celebra proprio il 30° anniversario di quella vittoria nell’Intercontinentale. È stato il suo successo più bello?
«Sì, perché incoronò la Juve a livello mondiale dopo aver vinto tutto: un primato che mi tengo stretto, anche se a Tokyo ci arrivammo dopo la tragedia dell’Heysel. Faccio, però, fatica a pensare di aver vissuto la pagina più nera e più bella della mia carriera a distanza di pochi mesi».
Che cosa le hanno dato la Juve e Torino?
«Tutto. Non solo la gloria, ma quelle basi di cemento armato che mi hanno permesso di affrontare i “terremoti” calcistici in Germania, Austria e Portogallo. Qui ho ricevuto l’imprimatur per andare ovunque con la giusta forza».
Da Milano e dal Milan è arrivato un altro allenatore che ha già riscritto la storia della Juve. Allegri l’ha stupita?
«No, perché usa la testa e si vedeva già da giocatore».
Lei l’ha allenato a Cagliari...
«Sì, per pochi mesi, ma il cordone ombelicale è rimasto e sono felice per quel che sta dimostrando nella Juve. Vincere tutto in Italia e arrivare in finale di Champions al primo tentativo non è mica da tutti...».
Le critiche, però, non sono mai scomparse. Perché?
«Quando subentri in una situazione vincente è dura e quando non sei in vetta c’è rumore nella Juve. Ma la struttura e la personalità della squadra, insieme alla calma e al suo modo di essere, hanno fatto e faranno la differenza. Io lo vedo dall’atteggiamento dei giocatori: Allegri è stato bravo e conferma di essere un ragazzo intelligente».
Perché la Juve vola in Champions e fatica in campionato? Una volta era il contrario...
«È inevitabile, ormai. In Serie A c’è sempre più un’ostilità conflittuale per la Juve: le difficoltà non sono solo gli avversari, ma anche gli ambienti».
E la Juve come può reagire?
«Tornando a fare la Juve: ha un Dna preciso e solido, quindi competerà fino alla fine».
Può vincere ancora lo scudetto, nonostante i 9 punti di distacco dalla capolista Inter?
«Sì, perché solo adesso si entra nel vivo. Ci saranno tanti scontri diretti e poi un campionato si decide a marzo».
Lunedì si sfidano Napoli e Inter, ora sono loro due le favorite?
«Bella sfida. Adesso i punti iniziano a pesare e loro due si daranno una “limata” in classifica. La Juve può approfittarne, ma deve fare risultati per tornare».
Quale può essere l’arma in più per Allegri?
«Morata e il suo gran fiuto del gol».
Se lei avesse perso 6-1 in Europa, che cosa avrebbe detto?
«Io sarei ripartito dalla vergogna per trasformare tutto in rabbia positiva. L’orgoglio di una squadra deve emergere: non è umiliato solo il tifoso o l’allenatore, ma ogni giocatore».
Perché a Roma è così difficile allenare?
«L’ambiente è complesso e per questo non ho mai voluto allenare a Roma e Napoli: mi hanno fatto una corte spietata per anni e mia moglie è anche romana, ma non sono mai andato. Meglio la “fredda” Torino».
Che effetto le fa sentire che il «suo» Platini rischia di essere radiato dal calcio?
«Seguo la sua situazione e mi auguro non accada mai. Spero ci siano le possibilità per fare chiarezza e per poter occupare quel ruolo da n°1 al mondo che ha già occupato da calciatore».