La Stampa, 27 novembre 2015
Dopo De Luca, Bassolino: a Napoli la rottamazione non è mai arrivata
Napoli, fra tanti problemi, ne ha uno di ordine filosofico, o forse da gioco enigmistico: Antonio Bassolino si ricandida a sindaco perché non c’è una nuova classe dirigente, oppure non c’è una nuova classe dirigente perché Antonio Bassolino non l’ha mai creata? O magari l’uno e l’altro, senza che siano lette come compiaciute pennellate sul regno del possibile e dell’impossibile, l’eterna e vertiginosa contraddittorietà: il filosofo Biagio De Giovanni, 83 anni, un tempo comunista, uno dei pochi da cui si possa ancora andare a parlare, mostra il mare dalle finestre di casa, a Mergellina. «La bellezza è quella che è», dice con gli occhi su Castel Dell’Ovo. Ma, nel frattempo, per strategia popolana, Luigi De Magistris sta «plebeizzando la città», dice De Giovanni, e intende la ola antagonista, il sapore antistituzionale delle istituzioni, la protesta al potere, «e fino al pizzafestival e al mozzarellafestival». Non è nemmeno tutto lì: i Quartieri spagnoli, disse una volta il sindaco, «diventeranno la Montmartre di Napoli», e qualche sera fa in quelle viuzze pendenti correva un ragazzo ferito che è andato a riparare, braccato fin sulla soglia dai predatori armati, in una palestra dove i bambini facevano karatè e chambarà. La novità più recente di Napoli non è il sequel che Bassolino gira di sé, ma la guerra di ragazzini che si ammazzano a ritmi da poliziottesco, poiché i vecchi boss sono in galera e le nuove leve non conoscono contenimento. Si spara in centro, al rione Sanità, a Forcella, «la paranza dei bambini», si sentì dire da una donna intercettata al telefono.
Torniamo a noi. Bassolino si era dato da tempo un tono di saggezza vegliarda, i ritmi da scalatore, il bel libro dal titolo antitetico, Le Dolomiti di Napoli, la saga su Facebook delle amorevoli fatiche di nonno, le interviste su questo e quello con l’illuminato distacco di chi è fuori dalla bolgia, qualche corsetta sul lungomare dove ora incontra Gianni Lettieri, amico-nemico di centrodestra, già presidente degli industriali e anch’egli candidato alla sindacatura. Si intravede già l’esorbitanza esistenziale, Lettieri avrà con sé sette liste civiche, Bassolino disputerà le primarie in una coalizione che parte con Pd, Psi, Verdi, Scelta civica, Idv, Repubblicani democratici, Ricostruzione democratica, Centro democratico, Udc e Ncd alfaniano. Comunque, la prova provata si è avuta poche settimane fa quando a un funerale Bassolino aveva preso la posizione di chi vuole strette di mano. Qualcosa in parentela col bacio a San Gennaro o l’arrampicata sull’autoscala dei pompieri per posare i fiori alla Madonna in cima all’obelisco di piazza del Gesù, cose di vent’anni fa, quando Bassolino era sindaco del Rinascimento napoletano, una fiera prospettiva premiata dalla rielezione col 72 per cento.
Il nostro problema filosofico, o gioco enigmistico, è ancora lì. Peppe De Cristofaro, senatore di Sel ma per sette anni segretario napoletano di Rifondazione, sostenitore ed elogiatore del primo Bassolino, oggi è in appoggio a De Magistris («La sua è un’esperienza di luci e ombre, ma merita di proseguire»). Dice che «se il Pd napoletano è quello che è, la colpa è pure di Bassolino che non ha creato classe dirigente». Mentre per De Giovanni è sufficiente rilevare che «Bassolino è l’unico che abbia avuto e forse abbia ancora una visione di Napoli. Ora dobbiamo liberarci di questa amministrazione». La delusione di De Giovanni, che salutò speranzoso la salita di Matteo Renzi, è per l’abbandono di Napoli da parte del governo centrale, rivolto «verso aree più forti, più produttive, con lo sguardo altrove. Penso naturalmente a Milano, effettivamente ripartita». Bene, secondo problema filosofico: Napoli si marginalizza e «pleibizza» perché il governo guarda altrove, oppure il governo guarda altrove perché Napoli si è messa fuori fuoco?
Raffaele Topo, 50 anni, di natali democristiani, figlio dell’autista di Antonio Gava, uno degli uomini forte del Pd locale (diciamo così), esercita al nono piano dell’isola F13 del Centro direzionale, sede del consiglio regionale. Seguite la scena: il cronista è arrivato da pochi minuti e viene fatto accomodare in una stanza dove sette o otto persone hanno prenotato il colloquio con Topo. «Devo aspettare il mio turno?». «Certo», risponde la segretaria ignara. Ma intanto arriva Topo, stringe la mano al cronista, «dottore, mi perdoni, l’ho fatta attendere per ore, ma avevo tanti impegni». Strizza l’occhio. Fila aggirata. Topo ha da esprimere qualche concetto. Primo: non è colpa di Renzi se il Pd locale è lasciato solo, Renzi c’è da appena un anno. Secondo: abbiamo un’idea precisa del nostro candidato alle primarie. Terzo: il Pd non ha un candidato a Milano e a Roma e deve avercelo proprio a Napoli? Quarto: siamo una bella squadra. Ma la verità, se passate il termine, è che o le anime e gli spiritelli del Pd si mettono d’accordo, oppure le primarie le vincerà Bassolino.
Così, prospettiva affascinante, a Napoli si aprirà la mistica della controrottamazione. Nuovi campioni due punto zero e da start up sbattono contro la coppia vintage Bassolino-De Luca (Vincenzo, governatore campano), di cui si è spesso riassunto il romanzo delle zuffe giovanili nel Pci. Un antirenzismo endemico nel quale l’iniziativa più interessante, sociologicamente parlando, è quella di De Luca ospite di una gran festa della borghesia (lui, cafone salernitano) organizzata da Patrizia Boldoni, ex moglie dell’ex presidente del Napoli, Corrado Ferlaino. L’accettabilità sociale è un’ambizione planetaria, e in ogni caso qui si rigettano tutti i pettegolezzi sulla successiva nomina della suddetta Boldoni alla presidenza della Scabec, società regionale per i beni culturali. Invece è l’occasione per segnalare l’euforia calcistica che percorre la città e ispira le conversazioni politiche di sinistra, dove si è alla ricerca di «un nuovo Maradona», o «Maradona non serve, semmai un Sarri (allenatore e nuovo idolo)», fino a «ci basterebbe un Frappampina (oscuro terzino di una volta)».
La falla di questo articolo è l’assenza dei cinque stelle, su cui si stenta a trovare un motivo di distinzione. È che seguono il percorso seguito ovunque, implacabile e fruttuoso, mentre al palato nostro sembrano più appetibili certe manovre, forse decadenti, di sicuro luccicanti, come quelle del già citato Lettieri (candidato mai settario del centrodestra) che organizza incontri e iniziative col sociologo Isaia Sales, con l’attore post-eduardiano Peppe Barra, col drammaturgo Peppe Lanzetta, con quel vulcano musicale che è Enzo Avitabile, un drappello glorioso di ex bassoliniani: erano loro, con Pino Daniele e Massimo Troisi e tanti altri, gli artisti rinascimentali dei tempi in cui via Caracciolo era decorata di limoni per buona accoglienza a Bill Clinton. Ci si strappano di mano i fasti passati poiché i fasti presenti sono niente più e niente meno della meraviglia notturna nella medesima via Caracciolo, pedonalizzata da De Magistris, dove si cena coccolati dal golfo senza l’intralcio delle auto. Quello lo si lascia a piazza Garibaldi, davanti alla stazione, che è un cantiere irrisolto e perpetuo dai tempi di Italia Novanta, o agli scavi per la metropolitana al Maschio Angioino, bloccati ogni due settimane perché gira e rigira spunta un tesoro del passato (nel caso, non Bassolino).