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 2015  novembre 27 Venerdì calendario

L’ultima rivoluzione di Guardiola: giocare con cinque punte

Mentre il Barcellona triturava col sorriso la derelitta Roma, rinvigorendo il mito della squadra più spettacolare che ci sia, martedì sera all’Allianz Arena di Monaco, a due gradi sottozero, il Bayern rispondeva a modo suo, sbarcando direttamente nel futuro, o forse compiendo una perfetta sintesi tra il calcio che verrà e i primordi della tattica del gioco. Contro i greci dell’Olympiacos, Guardiola ha schierato la formazione più offensiva che si sia mai vista a certi livelli: quattro difensori, con Lahm e Rafinha esterni; un solo centrocampista di ruolo davanti alla difesa, Arturo Vidal, ossia di fatto un trequartista; cinque attaccanti di ruolo, Robben-Müller- Lewandowski-Douglas Costa-Coman. In fase di non possesso, nei rari casi in cui l’Olympiacos aveva il pallone, ripiegavano in un 4-3-3, con Müller e Douglas Costa ai fianchi di Vidal, poi in fase offensiva il tutto si ribaltava in un 2-3-5. Un simile assetto non ha tolto un grammo agli equilibri complessivi, anzi. La partita è finita 4-0 per il Bayern; i primi tre gol sono stati segnati entro il 20’ e il quarto l’ha realizzato Coman a ripresa inoltrata, col Bayern in dieci per l’espulsione di Badstuber (ma al 33’ pt era anche uscito Robben per infortunio, sostituito da Kimmich che è andato al posto di Vidal in regia e il cileno si è spostato più avanti, con Coman a destra); il Bayern ha avuto il 65% di possesso palla; al portiere Manuel Neuer non è arrivato un solo tiro in porta, mentre il Bayern ne ha scoccati 18, di cui 9 nello specchio; il Bayern ha effettuato 667 passaggi su 729 tentati, con una precisione del 91%; alla fine Pep Guardiola non ha potuto fare a meno di dire: «Amo la mia squadra».
E la squadra ama lui, l’allenatore che sta provando a traghettare il calcio nel futuro, anche se probabilmente a giugno se ne andrà al Manchester City che lo corteggia da tempo. Il suo sogno è una squadra che abbia «il 100% di possesso palla». Come tutte le utopie non è realizzabile, però è cosa buona e giusta tendere all’assoluto. Magari applicando al calcio moderno, con l’atletismo e la fisicità che in ottant’anni di storia umana si sono radicalmente modificati, i principi di gioco degli anni Trenta, quando il Sistema di Herbert Chapman (una sorta di 3-2-2-3) e il Metodo di Vittorio Pozzo e Hugo Meisl (un 2-3-2-3 però più difensivo del Sistema) nacquero per trovare contromisure alla modifica della regola del fuorigioco (i giocatori tra l’attaccante in gioco e la porta passarono da tre a due) evolvendo il modulo adottato da tutti fino a metà degli anni Venti, ossia la Piramide, insomma il 2-3-5: e qui si ritorna a Guardiola, e alla sua magnifica utopia. Pep si sta spingendo sempre più in là, abbattendo anche uno di quegli inestirpabili luoghi comuni che il calcio si porta dietro da sempre: squadra che vince non si cambia. Bubbole. In 129 partite alla guida del Bayern, Guardiola ha cambiato formazione 128 volte, sì, avete letto bene: solo in due occasioni, nel gennaio 2014, ha messo in campo gli stessi 11 per due partite di fila. Per la cronaca, quest’anno il Bayern in 23 partite ufficiali, coppe comprese, ha segnato 64 gol subendone 11: insomma ha il miglior attacco e la migliore difesa d’Europa al tempo stesso. E speriamo che gli dèi siano propizi, concedendoci un altro incrocio tra Bayern e Barcellona in Champions: quello dello scorso maggio se lo aggiudicò l’immenso Barça di Messi-Suarez-Neymar, ma il Bayern aveva mezza squadra infortunata. Una rivincita se la merita. Ce la meritiamo.