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 2015  novembre 27 Venerdì calendario

Leonida Rossi, il truffatore dei frati francescani, si è impiccato con delle funi da alpinista. Non ha lasciato niente di scritto

Prima di impiccarsi con le funi da alpinista nella sua villa in provincia di Como a Lurago d’Erba, ha lasciato niente di scritto: anche perché quello che aveva da scrivere, il 78enne Leonida Rossi – italiano di nascita, keniano di residenza estera, svizzero di società finanziaria, indagato e perquisito l’altro ieri dalle Procure di Lugano e Milano per l’ammanco di almeno 49,5 milioni di euro affidatigli nel 2007-2014 da tre ex economi dell’Ordine dei Frati minori in cambio di promesse di interessi dal 6% al 12% – l’aveva già spedito ai francescani in una delle sue ultime confuse risposte alle contestazioni mossegli dai nuovi amministratori, subentrati nell’agosto 2013 all’economo frate Renato Beretta e agli altri due confratelli pure indagati ora per appropriazione indebita: «Ribadisco il concetto che senza fare investimenti di questo genere, in costruzioni varie per altri enti religiosi, all’estero, hotel e villaggi…, non si possono pagare tali interessi – scriveva Rossi —. Anche se ho cominciato da parecchio tempo a mettere in vendita le mie proprietà più importanti, non sarò in grado di restituire, con interessi o senza, quanto da voi richiesto», ma «se volete vi posso intestare un mio hotel di valore commerciale di 70 milioni di euro, così quando sarà venduto salderò il vostro debito e incasserò la differenza». L’hotel in Eritrea però esisteva solo sulla carta, e chissà se Rossi in cuor suo credesse davvero che il progetto di quel «Millennium Beach Hotel» con spiaggia privata sul Mar Rosso, 80 camere e 6 bungalow e 2 piscine e un ristorante-cupola da 400 coperti, potesse sottrarlo al frenetico balletto di ogni catena di Sant’Antonio: prendere i soldi da una parte e usarli per tamponare le restituzioni a un’altra, e via così finché l’ammanco emerge comunque. Non a caso ieri, mentre sul suicidio interveniva il pm comasco Francesco Nalesso, da Milano partivano i pm Alessia Miele e Adriano Scudieri per un giro di interrogatori (contemporanei ad altri del pm Sergio Spadaro) per comprendere quale ulteriore clientela Rossi potesse avere oltre ai frati che 9 mesi fa lo avevano denunciato. A fine 2014 nel XIV Congresso definitoriale i frati già avevano cercato invano di ottenere informazioni dall’ex economo frate Beretta, vago nell’asserire di essere stato vincolato dal suo scomparso predecessore «a mantenere riservato tutto il sistema», e da Rossi a distruggere sempre i rendiconti: sicché a cementare il silenzio dell’economo sarebbero state «la “premura fraterna” di aiutare un fratello in difficoltà e la cura di evitargli “una brutta figura”». «Viene chiesto a frate Renato – si legge allora nel verbale di quella drammatica riunione tra confratelli – di spiegare come i soldi siano stati trasferiti al signor Rossi. Egli dice che o si portava “la consistenza in contante”», nel senso di «soldi in andata trasferiti attraverso la ditta di Rossi» (la Anycom con sede propio accanto al Tribunale di Milano) e «rientri dalla Svizzera consegnati a mano»; o «si imbastiva una pratica immobiliare». Nel verbale si intuiscono i frati sbiancare, al punto che uno chiede all’ex economo se «a suo giudizio, tenendo conto anche di quanto non sappiamo, siamo ricattabili e se il signor Rossi intraprenderà questa strada. Frate Renato dice che, per come lo conosce, Rossi non farà nulla di tutto ciò». Intuizione esatta. Perché alla fine «il sig.Rossi» ha invece rivolto contro se stesso il buco nero nel quale erano stati ingoiati i quasi 50 milioni dei frati.
Al processo Mafia Capitale è stata ammessa la maggior parte dei testimoni richiesti dalla difesa e, in molti casi, contrastati dall’accusa. Dal 2016 sfileranno nell’aula bunker di Rebibbia prefetti e manager pubblici, ex sindaci e magistrati prestati alla pubblica amministrazione come Raffaele Cantone. In aula anche il ministro Giuliano Poletti, il sottosegretario Marco Minniti, un’ampia rappresentanza di funzionari e dirigenti del Viminale. Gli ex sindaci Ignazio Marino e Gianni Alemanno e il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. I prefetti Mario Morcone, Giuseppe Pecoraro, Franco Gabrielli. Tra i respinti ci sono Silvio Berlusconi, Gianni Letta e la giudice del Tar Linda Sandulli.