la Repubblica, 27 novembre 2015
La top ten degli scienziati italiani
Il primo è Carlo Maria Croce, fa ricerca sul cancro: sta in Usa da una vita ma ha ancora un accento romano, dirige laboratori e gruppi di ricerca da una parte e dall’altra dell’oceano, e se lo googlate trovate un articolo di una giornalista americana che si è divertita a raccontare dei suoi capelli fluenti e della sua Ferrari rombante per le quiete strade di Columbus, Ohio.
Il secondo si chiama Alberto Mantovani, è milanese: anche lui è stato tanto all’estero, ma poi è tornato in Italia. Anche lui fa ricerca in ambito medico, e a seconda di quale graduatoria guardate è lui il vero primo, non quello con la Ferrari. Il terzo, Napoleone Ferrara, ha in tasca un premio Lasker per la ricerca medica clinica, cioè il premio che i bookmaker della scienza considerano il pre-Nobel, visto che ben 87 vincitori del primo si sono visti assegnare poi anche il secondo. La quarta, Daniela Bortoletto, ha due primati: è la prima donna, e anche la prima fisica. Nella graduatoria di scienziati di punta con passaporto italiano si trovano i fisici che hanno scoperto il bosone di Higgs, i medici che dirigono i laboratori più importanti al mondo per la ricerca sulle cellule staminali, i neuroscienziati che hanno scoperto i neuroni specchio, e tre premi Nobel. È la classifica dei 3.600 Tis, i “Top italian scientists”, compilata dalla Via, cioè Virtual Italian Academy: un gruppo di ricercatori italiani basati soprattutto in Gran Bretagna, che periodicamente valuta gli scienziati italiani con maggiore impatto sulla ricerca mondiale.
«Non è proprio una graduatoria», precisa Mauro Degli Esposti, fondatore della Via, biochimico affiliato all’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. «È più un censimento delle eccellenze italiche». Per misurare l’eccellenza è stato scelto l’indice H: proposto nel 2005 dal fisico Jorge Hirsch (da cui l’H) per misurare quanto uno scienziato ha pubblicato e quanto i suoi colleghi hanno ritenuto importanti le sue pubblicazioni. Per dire: un H di 30 significa che lo scienziato ha pubblicato almeno 30 articoli che sono stati citati almeno 30 volte ciascuno, in almeno altri 30 articoli scritti da altri scienziati. Ed è 30 la soglia per diventare gloriosamente un Tis.
«Tutti i tre premi Nobel nati in Italia si collocano confortevolmente oltre la soglia 30, come la nostra unica medaglia Fields (i Nobel della matematica, ndr)», spiega Degli Esposti. Già, ma per esempio i tre premi Nobel (due per la fisica, Riccardo Giacconi e Carlo Rubbia, e uno per la medicina, Mario Capecchi, che però di italiano ha solo il nome) si piazzano lontani dal podio, rispettivamente ai posti 77, 61 e 49. «È vero, ma i premi Nobel vengono dati a chi scopre per primo una cosa importante. E non a chi ha il maggior impatto sulla ricerca in generale, come misura l’indice H», spiega Degli Esposti.
Qui sono stati considerati gli scienziati di cui l’ indice H era calcolabile usando il database di Google, che si chiama Scholar ed è considerato “generoso” perché considera “articolo scientifico” un po’ di tutto. Ma soprattutto per finire su Scholar ti devi iscrivere e devi creare da te un profilo con le tue citazioni, da tenere “sempre aggiornato”.
Detto questo, alcune cose saltano agli occhi. Fra i Tis ci sono tantissimi fisici: del resto anche a consultare database e ricerche internazionali viene fuori che noi italiani, in fisica, siamo senza dubbio tra i primi della classe. Ma i primi tre Tis sono di area biomedica. «Quando abbiamo iniziato questo censimento, cinque anni fa – ricorda Degli Esposti – erano già loro tre i primi. Significa che davvero sono i top della scienza italiana».
E allora ecco il primo, Carlo Maria Croce, indice H 191, ancora per un mese professore di Oncologia Medica all’università di Ferrara («poi mi mettono in pensione!»). Lavora e abita soprattutto negli Stati Uniti e ha al suo attivo scoperte fondamentali sulla genetica del cancro e articoli scientifici con più di 4.000 citazioni. Non la fa lunga: «Come si diventa top scientist? Bisogna lavorare tanto e bene». E che sul podio ci siano medici non sorprende: «Questo è il secolo della biomedicina, le cose davvero importanti oggi avvengono qui».
Il secondo, Alberto Mantovani, indice H 155, immunologo, direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente della omonima università, ha un curriculum scientifico lungo così, costruito lavorando anche in Uk e in Usa. «Ma le mie scoperte più importanti le ho fatte lavorando in Italia, dove ho scelto di tornare – racconta – Perché nel nostro Paese ci sono istituzioni dove si può fare ricerca di qualità, e organizzazioni, come Airc, Fondazione Cariplo, e Telethon, che sostengono la ricerca e l’indipendenza dei giovani scienziati, puntando sul merito». La ricetta di Mantovani per entrare nella top ten parla anche di loro: «Servono un po’ di intelligenza, tanta passione, e molta fortuna. Nel mio caso la fortuna è stata aver incontrato giovani collaboratori straordinari».
C’è anche chi l’essere Tis non lo prende tanto sul serio, come Giorgio Chiarelli, fisico della sezione pisana dell’INFN (Istituto nazionale di fisica nucleare), indice H 132. Chiarelli si è scoperto dodicesimo nella classifica generale, settimo tra gli italiani in Italia e settimo tra i fisici. «E mi sono fatto una risata». Perché nel censimento ci sono scienziati di aree disciplinari diverse, «e ciascuna ha usi e costumi suoi, perciò l’indice H ha valore molto diverso». Sarà (anche) per questo che i primi tre sono biomedici e i matematici sono rarissimi. E sarà anche per questo che ci sono aree disciplinari in cui essere anziani si rivela un vantaggio enorme.
«D’accordo, se uno è molto citato, in genere è molto bravo. Le agenzie di finanziamento della ricerca ne tengono conto. Ma non usiamole per raccontarci storie». Chiarelli, per esempio, è in alto «perché vent’ anni fa ho partecipato a un bellissimo esperimento negli Stati Uniti insieme a tanti altri italiani, il cui risultato più importante è stato la scoperta del quark top. Ed è questa la cosa che, per me, conta davvero».
Sul sito della Via molti di questi caveat sono espressi chiaramente. Ma quindi a che serve la classifica? Per Degli Esposti a una cosa importante: «Raccontare la scienza e la cultura italiana, soprattutto ai giovani, ma anche agli organismi pubblici e ai media». Ci svela chi sono gli scienziati più attivi, le aree della ricerca più solide e presenti. Ci dice che c’è gente che appare poco sui giornali ma lavora sodo nel proprio laboratorio. Ma anche «che in certi campi, gli scienziati italiani di maggior impatto lavorano quasi solo all’estero». Come fino a poco fa accadeva allo stesso Degli Esposti. Lui, ovviamente, è uno dei Tis. «Ho un indice H di 41. Per ora...». E si capisce che non vuole fermarsi lì.