la Repubblica, 27 novembre 2015
Parla uno dei centurioni sfrattati dal Colosseo. Racconta come lavora, dove compra i costumi e quanto guadagna
Ora è in pigiama, primo pomeriggio, nella sua casa sotto l’ospedale San Camillo. «Ar Colosseo nun me fanno più lavorà», dice Danilo Pascolo, 34 anni, cento chili e un tatuaggio di Gesù sul braccio destro. «Se mi metto l’elmo sotto l’anfiteatro so’ quattrocento piotte de multa. Due ieri li hanno beccati».
Lo indossa per l’occasione, l’elmo da centurione romano. Con una lentezza disarmante, scende in garage, apre il cofano dell’auto e tira fuori il resto del vestito imperiale: toglie le scarpe, infila i calzari, chiede di reggergli la mantella. È pronto. A raccontarsi. «Ho iniziato a 19 anni, dopo due stagioni passate al banco dei souvenir. Mi hanno chiamato due amici centurioni che dalla Via Sacra si spostavano a Fontana di Trevi: “C’è posto, si guadagna bene”. Da quel giorno lavoro sopra la fermata della metropolitana: Colosseo. Largo Gaetana Agnesi, pochi passi da casa Scajola. Con me, due centurioni».
Esiste un’organizzazione per entrare nelle cinque piazze di Roma dove lavorate? La polizia municipale parla di racket.
«Io sono incensurato, non ho problemi con nessuno, mai una denuncia. Sono entrato come le ho detto: mi hanno chiamato gli amici. Gli altri, sotto, a San Gregorio, non so. C’hanno provato a metter su un’organizzazione, ma ognuno ragionava con la testa sua. Non si è fatto niente. Io sono pacifico, credo in Dio e nel mio lavoro ci metto il cuore. Porto le carrozzelle delle mamme in difficoltà, accompagno vecchietti al taxi. Ho pure un handicap, un piede bloccato».
Il Campidoglio ha fermato la vostra attività perché ci sono state proteste internazionali.
«È nato tutto da quel video della tv romena a settembre: i cento euro chiesti per le riprese, i soldi presi dal portafogli di uno della troupe».
I suoi colleghi dicono che i nuovi centurioni, i più aggressivi, non sono romani. Le immagini tv ci restituiscono insulti e cadenze romane.
«Negli ultimi anni i casini li hanno fatti i romeni, si sono piazzati alla Colonna Traiana, al Pantheon. Come vede, non c’è un racket: entra chi vuole, chi si compra un vestito antico e si mette in piazza. Mica siamo leoni che si azzannano, siamo centurioni».
Dove comprate la divisa?
«Dagli artigiani del cuoio, nei negozi che servono i teatri, su internet».
Gli amici le dissero che si guadagnava bene. È così?
«Millecinquecento euro al mese nei sette mesi grami, fino a duemilacinque negli altri cinque mesi. È tutto molto instabile. A volte torno a casa la sera con tre euro, altre volte con duecento».
Comunque esentasse.
«Vorrei pagarle, le tasse. Lo chiediamo da anni».
È vero che molti di voi sono della comunità ebraica?
«A quel che so, quattro su quindici al Colosseo. Una minoranza».
È vero che ci sono diversi ex detenuti?
«Molti ex disoccupati, questo sì. Si sono dovuti inventare un nuovo lavoro. Da lunedì a sabato, dalle otto del mattino alle cinque di sera. Con la pioggia, il vento, il sole a picco».
Lei ha due fratelli fabbri, forse loro faticano di più.
«L’armatura, da sola, pesa venti chili».
Un’ora per la pausa pranzo?
«Mezz’ora. Niente panino, da casa mi porto la pasta. Mi piace mangiare».
Conosce le lingue, un po’ di storia romana?
«Hello, madame, fifty euro... Della storia, le assicuro, non importa a nessuno, ai giapponesi, agli slovacchi. Arrivano sotto il Colosseo sfranti di stanchezza e chiedono cinque minuti di simpatia. Vengono da noi come si va in una spa del benessere. In quindici anni di mestiere ho fatto ridere un milione di turisti».
Si prepara in qualche modo per la giornata di lavoro?
«Tengo in ordine il vestiario, controllo la verniciatura della spada di plastica, a volte ci metto intorno il Cuki, il rotolo d’alluminio. Poi vado in palestra. I muscoli ci vogliono, rappresentiamo la forza dell’impero romano. Un centurione secco secco non si è mai visto, manco nei film».
Grosso com’è, nessuna pressione sul turista dopo la foto?
«Mai, giuro. Offerta libera. A volte è un euro, a volte dieci».
Come vorrebbe rendere regolare la sua professione?
«Il mercato c’è, la gente ci chiede. Faccio trenta foto al giorno. Mettiamo tutto sotto il Comune di Roma, creiamo un biglietto, al prezzo che volete. Chi vuole la foto, la fa. Sarebbe un bel business, anche per il Campidoglio».