la Repubblica, 27 novembre 2015
La Merkel va alla guerra. Invia i Tornado in Siria
Hanno deciso in quattro. Ancora in volo sull’Airbus 340 di seconda mano ‘Konrad Adenauer’ che la riportava a casa da Parigi, Angela Merkel ha convocato in corsa il summit dell’emergenza. Solo lei e la sua delfina e ministra della Difesa Ursula von der Leyen (Cdu), il vicecancelliere e leader spd Sigmar Gabriel e il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, socialdemocratico anche lui. Brainstorming a porte chiuse. Alla fine, la svolta: Berlino dubbiosa e riluttante fino a ieri su azioni militari ha deciso di muoversi: «Non possiamo lasciare sola la Francia». Ecco come, secondo fonti governative, si è arrivati allo strappo, allo “Angie va alla guerra”.
La Cancelliera, assicurano voci fidate, ha cominciato subito a riflettere a Parigi, messa con le spalle al muro dalle pressioni di François Hollande: Parigi, le aveva detto in pubblico il presidente, ha bisogno urgente di aiuto. «Ha messo alla prova la leadership tedesca dell’Europa, ‘lei’ ha preferito rischiare la rabbia degli elettori d’una società pacifista nel cuore, piuttosto che una crisi con la Francia ferita nel midollo».
Consulto sofferto, lasciano capire. «I sondaggi parlano chiaro, molti tedeschi, forse la maggioranza, sono contrari», hanno riferito gli sherpa diplomatici. Esperti militari della grosse Koalition hanno ammonito: «Facile entrare in guerra, difficile sapere come e quando ne usciremo». Immediata la replica di “Angie”: «L’alleato francese chiede un gesto, non venitemi a dire che bastano i fiori deposti da me l’altro ieri sera a Place de la République». A sorpresa, lei che da mesi guida un governo diviso sui migranti (e spesso sull’eurocrisi) ne ha ricreato l’unità. «Senza una risposta militare contro Daesh, consentita dalla risoluzione Onu, gli sforzi diplomatici non serviranno a nulla», ha osservato Steinmeier. Subito appoggiato dalla signora von der Leyen: «Se vogliamo combattere il terrorismo e le ragioni che spingono la gente a fuggire in massa da noi, dobbiamo farlo sul posto, la guerra contro il Daesh sarà lunga ma può essere vinta».
Svolta radicale: fino a ieri Berlino voleva evitare l’impegno militare. Ma ricordiamoci del vostro fondatore Ade- nauer, «prima di decidere guarda tre volte il tricolore francese», avrebbe osservato Sigmar Gabriel. Altro fattore decisivo, su cui i quattro hanno convenuto: la Germania che chiede aiuto a tutta la Ue per ripartirsi la marea di migranti, e che detta legge in austerità per l’eurozona, non può sottrarsi alla richiesta d’aiuto del primo alleato. È nata così la scelta, trasmessa in corsa alla squadriglia “Max Immelmann” (era un asso della Luftwaffe nella seconda guerra mondiale), al comando della Bundesmarine, alla squadriglia di Airbus da rifornimento in volo, alla sala controllo dei satelliti- spia tedeschi e ai reparti scelti della Bundeswehr.
Per non lasciare sola Parigi, prende forma il più ampio corpo di spedizione mai messo insieme dalla democrazia postbellica tedesca. Sei ricognitori capaci di fornire ai jet francesi e usa, australiani e canadesi i dati più precisi sui bersagli, almeno una modernissima fregata per scortare la Charles de Gaulle, un satellite- spia. E 650 soldati scelti per fronteggiare in Mali gli alleati locali del califfato nero, finora messi in scacco dall’Armée.
«Non sono impazziti, conoscono i pericoli e dovranno spiegarli agli elettori», nota Berthold Kohler, editorialista principe della Frankfurter, «rischiamo caduti, come fu in Afghanistan, ma la Piovra chiamata Daesh minaccia anche noi, non ci difenderemo restando a guardare il dolore dei francesi».