Tempi, 26 novembre 2015
L’inutilità degli hacker contro i terroristi
L’indomani dell’attentato a Parigi, Anonymous, il gruppo di hacker attivisti, ha dichiarato «guerra» all’Isis. Con un video apparso in rete, questi novelli baluardi dell’Occidente che hanno visto troppe volte il film V per vendetta hanno promesso di spegnere i profili Twitter che inneggiano in rete al jihad. «Noi siamo Anonymous. Noi siamo la legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspettateci». L’operazione ha portato a offuscare qualche migliaio di account. La vicenda, col passare dei giorni, s’è un po’ ingarbugliata. C’è chi ha avanzato dubbi sulla sua efficacia, chi sui suoi reali artefici e scopi, chi sulla diffusione di notizie – poi risultate infondate – su prossimi attacchi alle capitali europee. Insomma, una serie di smentite e controsmentite e di bisticci fra vari gruppi di hacker che si incolpavano a vicenda di condurre in malo modo la campale battaglia contro il Male. In mezzo a questo polverone, un esperto dell’Ispi ha fatto notare che l’operazione di Anonymous è controproducente: «Distruggere queste reti non serve, si elimina solo la facciata, che subito viene ricreata altrove: ma così facendo si perde ogni traccia» preziosa per il lavoro degli uomini della nostra intelligence che, ogni volta, devono ricominciare da capo. Se a questo aggiungete quanto dichiarato al Foglio dal generale ex capo del Sisde Mario Mori («i servizi segreti in Italia sono stati smantellati»), capite come stiamo messi. Quelli annunciano attentati contro i crociati. Noi li crivelliamo di hashtag.