il Giornale, 26 novembre 2015
La rabbia dei clienti di Banca Etruria che si sono trovati senza soldi dopo il salvataggio del loro istituto di credito
«Banca Etruria l’abbiamo salvata io e mia madre che in una notte abbiamo visto evaporare 100mila euro. Soldi nostri, risparmi di una vita. Che ora sono diventati carta straccia». Letizia Giorgianni è originaria di Montepulciano e con la mamma Sonia è una dei migliaia di risparmiatori che hanno sottoscritto in passato un bond subordinato con la banca aretina. E come tale, è rimasta col cerino in mano. Anche a Letizia e Sonia è stato chiesto il conto del salvataggio dell’Etruria, di Banca delle Marche, Carife e Carichieti varato domenica da Palazzo Chigi. Il paracadute aperto dalle big del credito arrivate in soccorso del governo – si vedrà poi in cambio di quali, effettive, contropartite – salva infatti i correntisti e chi possiede obbligazioni ordinarie (che non saranno più al riparo dal gennaio 2016 quando scatteranno le nuove regole sul cosiddetto bail-in). Ma lascia fuori i possessori di bond subordinati per i quali il valore è stato semplicemente azzerato. O meglio, sacrificato sull’altare di chi ha portato l’Etruria sull’orlo del dissesto fino al commissariamento deciso da Bankitalia.
Chi paga? «Noi, di sicuro», risponde Letizia che sul bond ha investito 25mila euro mentre altri 70mila erano stati messi dalla madre Sonia. Era stata quest’ultima, nel 2008, a sottoscrivere l’obbligazione con scadenza 30 ottobre 2016 a un tasso di rendimento al 7%, consigliata dal consulente finanziario della banca di famiglia. «Sono correntista da anni, mi avevano detto che era a basso rischio, di non preoccuparmi anche se si trattava dei risparmi di una vita. Nessuno mi ha spiegato che poteva fallire la banca! E comunque la banca non è fallita, perché è proprio questo il paradosso», dice Sonia. Per la signora era soltanto un codice (l’Isin, usato per identificare i titoli, che in questo caso era l’It0004119407). Nel luglio scorso, con l’istituto commissariato, si è accorta che stava perdendo circa 12mila euro. «Sono andata personalmente in banca ma mi è stato detto di stare tranquilla, che il bond sarebbe stato rimborsato a scadenza». Poi, ieri mattina, è arrivata una telefonata dalla filiale. «Il direttore ci ha detto che i soldi servivano per risanare il debito e quindi se fossimo andate a ritirarli non li avremmo trovati. L’ha definita una mossa politica del governo quasi per giustificarsi», racconta la figlia Letizia. Che non si spiega perché un contratto firmato fra due parti – come quello su un bond – sia stato disatteso. «Di solito chi non rispetta i patti deve pagare e qui, invece, a rimetterci siamo state noi».
Sonia e Letizia non hanno ancora deciso se rivolgersi a un avvocato. Ma nella loro stessa situazione, secondo le stime dell’associazione amici di Banca Etruria guidata da Vincenzo Lacroce (per oltre vent’anni ispettore di Bankitalia), sono circa 5mila obbligazionisti subordinati, un terzo dei 15mila bondisti delle quattro banche da «salvare». Alle nove obbligazioni subordinate emesse dall’Etruria per un totale di circa 375 milioni si aggiungono infatti le quattro di Banca Marche (205 milioni) e le tre di Carife (148 milioni) per un controvalore complessivo di quasi 730 milioni di euro. Tutte rimaste nella «bad bank» aretina.
Dietro a queste cifre ci sono risparmi, sacrifici e soprattutto persone. Che potrebbero promuovere una class action: mentre anche la politica locale comincia ad alzare la voce. Ieri il consigliere regionale della Lega Nord e portavoce dell’opposizione nell’assemblea toscana, Claudio Borghi, ha annunciato una mozione urgente chiedendo di adottare tutti i provvedimenti del caso per salvaguardare «decine di migliaia di persone» rimaste «vittime di quanto deciso dal governo».
Chissà se anche Pierluigi Boschi, papà del ministro nonché ex vicepresidente dell’Etruria, ha investito in un bond subordinato della banca che ha amministrato fino al commissariamento. E chissà se la figlia si è liberata delle 1.557 azioni dell’Etruria per un valore complessivo 1.100 euro dichiarate nel 2014.
Di certo, quei titoli – già sospesi da febbraio a Piazza Affari – ora valgono zero e sono di proprietà di una società destinata alla tomba.