Corriere della Sera, 26 novembre 2015
Anche la tanto desiderata Europa unita ha bisogno di frontiere
Quante volte avete sentito usare nei talk show il seguente interrogativo retorico: «Pensate forse che i terroristi arrivino in Europa sui barconi degli immigrati?». Ebbene sì, ormai sappiamo che qualche terrorista è effettivamente arrivato anche a bordo dei barconi. Vuol dire che dobbiamo rivedere tutti i tabù e tutti i luoghi comuni che anche per nobilissime ragioni (per esempio contrastare il razzismo contro i migranti) abbiamo accettato finora. Non possiamo più dare nulla per scontato, e del resto non sarebbe un atteggiamento liberale negare l’evidenza solo perché questa porta acqua al mulino di chi fomenta le campagne anti Europa.
L’evidenza è che l’attuale sistema Schengen non funziona. È perforabile. Talvolta appare addirittura un colabrodo. Abbiamo detto dei barconi. Ma quello dei clandestini non è il solo problema. Anche più pericoloso è lo scarso controllo di chi entra mostrando i documenti alle nostre frontiere. E quando dico «nostre» intendo quelle comuni dell’Europa, perché le frontiere interne, tra Stato e Stato, come è noto non esistono più.
Avendo eliminato i controlli nell’area Schengen, dovremmo avere infatti un sistema di verifiche a prova di bomba per chi ci arriva dall’esterno. E invece, come ha raccontato sul New York Times Roland K. Noble, che è stato per 14 anni a capo dell’Interpol, alle nostre frontiere, non dico sulle spiagge o nei porticcioli, ma perfino negli aeroporti, non è previsto un controllo sistematico incrociato con il database, in dotazione all’Interpol da dopo l’11 Settembre, di tutti i passaporti rubati, contraffatti o smarriti. Lì dentro ci sono 45 milioni di documenti, e un documento falsificato fa capolino in ogni grande azione terroristica sul suolo europeo, da Madrid a Londra fino a Parigi. La Gran Bretagna, che è fuori dall’area Schengen e che questi controlli li fa, ha fermato in un anno 10 mila persone che tentavano di entrare con documenti fasulli.
L’anno scorso tra le dieci nazioni del mondo con il più alto numero di denunce per passaporti rubati o smarriti otto erano dell’area Schengen. Secondo l’ Economist anche i database disponibili su presunti criminali e terroristi contengono troppo pochi dati, e troppo gelosamente custoditi dalle polizie nazionali. Se poi per caso i computer identificano un sospetto, l’unica informazione che restituiscono è il nome e il telefono del funzionario di polizia da contattare. Sembra che la libertà di movimento valga per i ladri ma non per le guardie.
In questo modo, dice Noble, è come se avessimo appeso un cartello di benvenuto per i terroristi ai nostri confini. Senza contare i controlli sui cittadini europei con regolare e valido passaporto europeo. Essi hanno infatti diritto di entrare ed uscire quando vogliono, ma solo ora ci si è accorti che forse sarebbe meglio tenere traccia di quante volte escono e da dove rientrano, visto che tra loro ci sono anche i foreign fighters che fanno la spola tra l’Afghanistan, la Siria e le nostre città, importando il know how del terrore.
Ci sono ottime ragioni per difendere la libertà di movimento nell’area Schengen. Una delle quali è che i nostri Paesi sono così intrecciati, uniti in un tale reticolo di connessioni che districarlo è impossibile: ci sono più di 200 strade che collegano il Belgio alla Francia. Un’altra buona ragione è che questo è uno dei maggiori successi dell’Unione Europea, e forse il più popolare, e tornare indietro su questa strada sarebbe certamente una sconfitta storica. Ma se si vuole salvare l’Europa senza frontiere che i nostri figli hanno conosciuto bisogna garantire loro che l’Europa sa controllare le sue frontiere esterne, che non entra chi vuole e quando vuole. Non c’è posto al mondo dove questo sia consentito. Perfino il sogno più ardito di un’Europa unita ha bisogno, da qualche parte, di una frontiera.