la Repubblica, 26 novembre 2015
Essere un calciatore musulmano in Francia oggi. Conversazione con El Shaarawy
Il sole rivierasco d’autunno scalda la montagna di La Turbie, sventrata per riempire il mare e costruire il quartiere di Fontvieille, dove il principe Ranieri inaugurò 30 anni fa lo stadio multipiano intitolato al nonno. El Shaarawy si allena a La Turbie, abita a Fontvieille, gioca al Louis II: sono i luoghi della seconda vita calcistica dell’ex Faraone, novello Pharaön del Monaco, che ne affronta stasera una tappa importante, in Europa League con l’Anderlecht.
El Shaarawy, a 25 presenze lei non sarà più un giocatore del Milan.
«Me ne mancano 6. Ne sono consapevole, indietro non si torna. Mi è dispiaciuto tantissimo, sono un supertifoso: in tv non mi perdo una partita. Non dimentico i bellissimi momenti, i gol, le gioie per i tifosi. Ma era arrivato il momento di cambiare aria. E questa di Monaco è l’aria giusta».
Nella squadra che fu di Weah, Thuram e James fare il titolare non è scontato.
«Sono partito in ritardo nella preparazione. Ho trovato un calcio più fisico, meno tattico, con allenamenti più intensi di quelli italiani e fatti sempre col pallone. Accumulo minuti e prestazioni in crescita. Ho giocato in più ruoli, anche da prima punta. Mi interessa giocare con continuità, per ritrovare la condizione fisica che avevo prima dei due seri infortuni al piede col Milan».
Ha mai pensato di essersi perso?
«Il secondo infortunio di fila mi ha un po’ segnato: una bella botta. Ma non potevo abbattermi: i 2 gol a fine campionato e la Nazionale mi hanno premiato. Credo nelle mie qualità: è la stagione della mia sfida, per riprendermi quello che avevo e per prendermi la rivincita. Ho compagni giovani, allegri, solari: un ambiente perfetto».
A Monaco, la terra dei vip, la sua cresta passa inosservata?
«A passeggio nessuno ci fila. Però anche qui sento l’affetto dei tifosi: la mia sessione di autografi è durata due ore, il doppio del previsto. Evidentemente la mia semplicità arriva al cuore delle persone».
La Francia era nel destino.
«Il primo gol in Nazionale l’ho segnato alla Francia. In Francia c’è l’Europeo, che vorrei vivere da protagonista. E per guadagnarmelo, devo giocare bene nel campionato francese».
La Francia oggi è anche dolore.
«Nel nostro spogliatoio multietnico c’era grande tristezza. Ma è giusto continuare a vivere normalmente, è stato giusto giocare Inghilterra-Francia, è giustissimo reagire subito al terrorismo attraverso lo sport. Nessuna religione al mondo tollera questi attentati allucinanti».
Lei è musulmano.
«Appunto. Io non seguo la legge del mio Dio seminando il terrore o tagliando teste».
Il suo cognome egiziano le ha mai causato problemi?
«No. L’ho sempre portato con onore. Ho un rapporto bellissimo con le mie origini, anche se non ho imparato l’arabo, solo qualche parola».
Come va col francese?
«Très bien, merci».
La lingua di Conte ct è una sola: la fatica.
«Io lo devo ringraziare: dopo mesi d’infortunio, mi ha fatto giocare 2 partite da titolare. Sto cercando di ripagarlo, ho segnato un gol, mi ha detto che è contento di me. Ma non mi posso fermare».
Mihajlovic la voleva mezz’ala.
«Perché ho fatto l’esterno di centrocampo. Gli ho dato la disponibilità, non me ne sono andato per il ruolo: vedevo al Monaco i presupposti per rilanciarmi».
È vero che aveva problemi di postura?
«Nella mia carriera, per guai muscolari, ho perso solo due settimane. I miei infortuni sono stati tutti traumatici e fortuiti. Al Milan mi hanno rafforzato i muscoli perché a Padova ero troppo gracile, pesavo 40 chili».
È vero che segue la dieta della bresaola, come Inzaghi?
«Ma no. Mi piace tantissimo e me la sono portata a Monaco. La mangio anche a colazione, nel toast».
È vero che a Milano la ferirono le leggende metropolitane sulla sua vita privata?
«Ci sono rimasto malissimo. Certe assurdità destabilizzano la persona. So solo io quanto ho lavorato per tornare ai miei livelli, dopo gli infortuni. Purtroppo oggi, nei social, i contro superano i pro. Si confonde il diritto di opinione con la calunnia, si è perso di vista il rispetto per le persone. E c’è troppa invidia verso chi è famoso».
Anche per questo ha deciso di andarsene?
«Sì, ma non era Milano in sé, era l’ambiente in generale attorno al calcio. Era ora di cambiare aria e non per colpa del Milan».
Non è paradossale che lei sia all’estero ora che il Milan schiera 8 italiani su 11?
«Sono contento per i giovani, per Donnarumma. Ai ragazzi va data fiducia, senza bruciarli: io nel 2012, dopo le prime 3 partite così e così, alla quarta feci una doppietta. Allegri sta usando lo stesso metodo con Dybala».
Magnanelli del Sassuolo ha detto alla Gazzetta che Balotelli ha avuto su di lei una cattiva influenza.
«In campo non penso certo che fossimo incompatibili. E fuori eravamo grandi amici, ma non frequentavamo le stesse compagnie».
El Shaarawy, a 23 anni lei si sente ancora della categoria giovani?
«Non più. Né vecchio, né giovane: una via di mezzo».