Corriere della Sera, 26 novembre 2015
Il commento alla Champions di Mario Sconcerti
La Roma ha due problemi reali. Il primo, il più importante, non è la difesa intesa come individui che formano un reparto, ma l’intera fase difensiva, intesa cioè come squadra che copre il proprio territorio quando gli altri hanno il pallone. La qualità di alcuni difensori (Ruediger su tutti, ma anche Digne, Torosidis, lo stesso Florenzi in quel ruolo) è poco più che normale, ma la squadra lascia spesso solo il suo reparto, non è adatta a sorreggerlo. Il centrocampo è perfetto sulla carta, quasi mai sul campo. È ottimo per fare pressione in avanti e tenere il pallone, ma è sbagliato quando l’azione si rovescia. De Rossi ha tutto per il calcio fuorché il movimento. È statico, copre poco campo, ha bisogno di avere altri compagni accanto. Pjanic è un campione che sta perfino crescendo, giocasse nel Barcellona diventerebbe il migliore. In una squadra che deve anche difendere, perde mentalità, non ha contrasto e lascia facilmente la posizione. C’è un dato molto interessante nel cammino della Roma. Le uniche due giornate in cui non ha preso gol in campionato Pjanic non c’era. Non è lui il problema, ma la sua parte unica nel gioco si aggiunge alla staticità di De Rossi e raddoppia il disagio. L’unica mezzala completa è Nainggolan, il solo che sappia giocare negli spazi aperti e abbia un concetto largo del dover recuperare il pallone. Questo limite pesa anche in Italia. L’Inter non ha subito gol 9 volte su 13, il Napoli 8. La Roma 2. In Italia ha tanta qualità da poter spesso dimenticare il suo limite. Segna molto. Questo però porta direttamente al secondo problema della squadra, la sua mentalità ballerina. La Roma ha un’alta concezione di sé, allargata dalle voglie dell’ambiente e dal dovere di vincere in fretta. Questo la mette spiritualmente in vantaggio su tutti tranne quelli che giocano altrettanto bene. La qualità degli altri, i tempi stretti di quelle partite, non esaltano la Roma. Prima la sorprendono, poi la perdono. Non sono un caso i punteggi tennistici, anche improvvisi e non definitivi come a Borisov: rappresentano l’abbandono normale dei narcisisti. Qui ci vorrebbe un grande allenatore, ma Garcia è narcisista almeno quanto la squadra. È cosciente dei limiti, altrimenti non cercherebbe sempre nuovi mediani, ma non li sa curare. Ha esaurito la sua differenza, mi sembra che anche la squadra avverta questa mancanza. Servono leader, serve certamente Strootman. Servirebbe però anche un allenatore o molto riflessivo o molto duro. Garcia è nel mezzo. Ed è là che la Roma, tra i suoi incredibili eccessi, per adesso resta.