Corriere della Sera, 26 novembre 2015
Parla il pilota russo sopravvissuto ai missili turchi: «Se i loro F-16 avessero voluto metterci in guardia prima di spararci, avrebbero potuto affiancarsi. E mostrarsi»
«Volavamo a seimila metri. Il cielo era limpido. Il missile è arrivato improvvisamente sulla coda dell’aereo. Non l’abbiamo proprio visto. Non c’è stato neanche il tempo di fare una manovra. Pochi secondi dopo, già precipitavamo. E ci siamo buttati fuori…». Gli eroi sono spesso tutti giovani e morti e al capitano navigatore Konstantin Murakhtin non pare vero: è vivo e passeggia per l’ospedale della base aerea di Hmeymim, terra siriana a 30 chilometri dalla Turchia, e Putin l’ha già onorato della medaglia d’Eroe di Russia. Paracadutato sulle montagne dei turcomanni nemici d’Assad. Trovato, non si sa come, dalle forze speciali. Scampato alla stessa, sicura morte del suo compagno di volo: «È escluso che siamo sconfinati in Turchia, nemmeno per un secondo – fanno subito dichiarare all’Eroe, abbattuto mentre bombardava i turcomanni di 24 villaggi siriani sulla frontiera —. Si può verificare perfettamente sulle mappe radar dov’è il confine e dov’eravamo noi». Ma perché non avete risposto all’allerta dei turchi? «Non c’è stato alcun tipo di contatto, non sono arrivati avvertimenti visivi, né via radio. Se i loro F-16 avessero voluto metterci in guardia prima di tirarci addosso, avrebbero potuto affiancarsi. E mostrarsi».
Behind Enemy Lines. Al di là della linea, o forse al di qua vai a sapere, per i piloti è finita come in un vecchio dramma di Gene Hackman: uno ammazzato, l’altro salvato. Murakhtin è «in buona salute», comunica personalmente Putin, dopo che l’ambasciatore a Parigi e il ministro della Difesa hanno già spiegato come il capitano «sia riuscito a scappare» nei boschi e sia stato «recuperato da un’operazione durata 12 ore, un commando congiunto russo e siriano penetrato per 4 chilometri e mezzo nei territori infestati dai terroristi». L’altro, no: l’aviatore Oleg Peshkov è stato impallinato dalle brigate turcomanne mentre planava col paracadute, il cadavere mostrato da un video. Medaglia pure a lui e a un terzo Eroe di Putin: il soldato Aleksander Pozynich, colpito a morte su un elicottero Mi-8 che stava cercando i due commilitoni dispersi.
Fine dei dettagli ufficiali. Ma dietro le fanfare militari, qualcosa stona. Ankara diffonde gli avvertimenti radio che ogni 30 secondi, e per cinque minuti, avrebbe inviato al Su-24 prima d’abbatterlo: «Attenzione, queste sono le forze aeree turche. Vi state avvicinando al nostro spazio aereo. Deviate immediatamente la vostra rotta verso Sud». Oltre a turchi, russi e a siriani, all’ora del missile Aim-9X Sidewinder vegliavano la zona almeno due satelliti e i radar di 11 Paesi – la portaerei americana Vinson, la francese Charles De Gaulle, la base qatarina d’Al Udeid, e poi inglesi, israeliani, giordani, sauditi, emiratini, bahreini, australiani, canadesi – e tutti, più o meno, confermerebbero la versione dei 17 secondi di sconfinamento. È stata probabilmente un’imboscata, concorda col Cremlino un analista militare di Tel Aviv, Alex Fishman: «C’era già stato un precedente, il 3 ottobre. E da allora Putin aveva concordato i sorvoli con israeliani e giordani. Con Erdogan, mai». Un po’ i russi se l’andavano a cercare, un po’ i turchi li aspettavano. E meno i piloti, forse, lo sapevano tutti.