la Repubblica, 26 novembre 2015
Al momento sul cielo della Siria volano i jet di dodici Paesi
«Sembra Tel Aviv all’ora di punta», commenta a caldo uno dei molti osservatori militari israeliani che seguono con estrema attenzione i movimenti negli affollati cieli siriani. Non ha torto, perché quello della Siria è in questo momento lo spazio aereo più congestionato del mondo. Attualmente 12 diverse Forze Aeree operano con i loro jet nei cieli siriani. Ci sono caccia e bombardieri siriani, russi, turchi, americani, giordani, australiani, francesi, inglesi, sauditi e qatarini, e canadesi. Poi ci sono anche i caccia israeliani, che solo lunedì hanno bombardato postazioni Hezbollah in Siria per 4 volte a Qalamun. È difficile anche capire chi sta bombardando che cosa e con quale scopo. I turchi bombardano i curdi (aiutati sul terreno dall’Occidente) che si battono contro l’Is, russi e siriani bombardano i “ribelli” senza tante distinzioni, gli Usa bombardano solo le postazioni del Califfato come i giordani e gli arabi, per non urtare Arabia saudita e Qatar che armano Jabhat al Nusra, il competitor interno dell’Is.
Israele, dall’inizio della guerra in Siria, ha compiuto decine di raid per bloccare passaggi d’armi sofisticate a Hezbollah, e i suoi caccia sono tornati indenni alle loro basi nel deserto del Negev. Ma quella facilità di penetrare come burro lo spazio aereo siriano, adesso non appare più così semplice, specie dopo l’annuncio che in Siria verranno schierate le sofisticate batterie russe anti- aeree S-400 di ultima generazione. La necessità strategica di mantenere una certa flessibilità operativa sui cieli della Siria ha portato i generali russi e quelli dell’Israel Air Force a istituire tavoli di coordinamento per evitare battaglie aeree fra due Paesi “non nemici”. Coordinamento che al momento manca tra le forze della Coalizione e le forze aeree russe e siriane.
Gli Stati Uniti sono il Paese con il maggior numero di missioni nei cieli siriani. I raid mirati partono dalla portaerei “Carl Vinson”, dalla base di Al Udeid in Qatar e più recentemente anche dalla Turchia dalla base di Incirlik. La Francia ha schierato nel Mediterraneo orientale la “Charles De Gaulle”, da dove decollano i Rafale e SuperEtendard. Ma posizione del gruppo navale francese comporta che i caccia e i bombardieri francesi devono sorvolare Israele e la Giordania, oppure la Turchia nella loro rotta verso la Siria e l’Iraq. Cieli già normalmente al limite della congestione.
Diversi altri Paesi della Coalizione partecipano all’Operazione Ineherent Resolve contro il Califfato, spesso con ancor meno coerenza. Gli Alleati, che comprendono anche gli Stati Arabi del Golfo, nelle loro missioni d’attacco coinvolgono numerosi aerei per le lunghe distanze da percorrere prima di entrare nei cieli siriani. I loro F-16 penetrano lo spazio siriano da una varietà di rotte diverse per sorvolare la Giordania o l’Iraq aumentando potenzialmente la possibilità di un incidente con altri caccia in volo. I velivoli coinvolti in queste missioni sono di diverso genere, caccia, droni con missili, droni con Elint (Informazioni elettroniche) ma soprattutto gli aerei cisterna KC-10 per i rifornimenti volo.
Il potenziale di scontri diretti fra caccia esiste come dimostrato dall’abbattimento del bombardiere russo lunedì scorso e può portare a decisioni affrettate. La Turchia ha sperimentato la pericolosa realtà dei cieli siriani già nel giugno del 2012, quando un suo F-4 da ricognizione venne abbattuto da un batteria missilistica siriana. “Incidente” che però ha stimolato una dura risposta della Turchia che in seguito ha abbattuto un Mig siriano e un elicottero nel marzo del 2014, dopo che – secondo la versione di Ankara – avevano violato lo spazio aereo turco. A settembre dell’anno scorso è stato Israele a premere il tasto rosso del “Fire” quando un suo Patriot ha centrato un velivolo siriano che aveva violato il suo spazio aereo, confinante con quello israeliano, “soltanto” di 800 metri.