la Repubblica, 26 novembre 2015
A quelli dell’Isis non piacciono per niente le scuole occidentali. Lo scrivono nella loro rivista Dabiq
Nell’ultimo numero della rivista dell’Is, Dabiq, compare anche un articolo di totale critica al sistema educativo nelle terre del kufr, la miscredenza: categoria georeligiosa con cui gli islamisti radicali indicano l’Occidente. Ovviamente, alla rivista jihadista, poco importa una valutazione sull’efficacia o la funzione dei sistemi educativi occidentali. Il testo è opera di Abu Thabit al Hijazi, un mujahid che afferma di aver compiuto l’hijra, la separazione dall’ambiente empio della «nazione crociata» nel quale viveva, per raggiungere il solo luogo al mondo dove la sharia sarebbe non solo applicata ma interpretata in maniera «autentica»: lo Stato islamico, L’argomento non è nuovo nell’ideologia radicale. La critica al sistema occidentale non è solo politica ma anche valoriale. L’attenzione nei confronti dei sistemi educativi, accusati di veicolare falsi valori e credenze tossiche, è uno dei cardini della dottrina radicale. Ciò che l’articolo rivela invece, nella sua funzione latente, è la rilevanza data dall’Is alla questione educativa in relazione alla politica familiare del Califfato autoproclamato.
L’articolo di Dabiq punta a mettere in risalto i timori delle famiglie musulmane che vivono in Occidente per l’istruzione “peccaminosa” e veicolo di concetti secolari che i loro figli riceverebbero nelle “scuole della miscredenza”. Luoghi nei quali essi non solo apprenderebbero concetti errati, come quelle di nazione e nazionalismo, che verrebbero inculcati agli alunni, costringendoli a rinnegare l’evidente fatto che l’unica appartenenza reale dei credenti è quella alla umma, la comunità di fede, transnazionale per eccellenza. Ma nei quali, e qui è il cuore della questione, viene negato che la sola lealtà ammissibile è quella rivolta a Allah e al suo Messaggero.
Le “scuole della perdizione” hanno inoltre la colpa di educare all’ateismo e alla tolleranza: non solo verso il pluralismo religioso ma persino nei confronti di quello che appare innegabilmente peccaminoso, come l’omosessualità, peraltro “pudicamente” declinata solo al maschile. La carrellata sui deficit valoriali dell’educazione occidentale non tralascia poi la critica a un approccio scientifico alla realtà che rivelerebbe tutto il suo carattere secolarizzante. Devianza religiosa e ateismo, perversione sociale, sapere secolare, costituirebbero, dunque, il veleno inoculato dai sistemi educativi occidentali.
È chiaro che questa visione, non solo riduttiva ma ossessiva, della cultura occidentale non risponde solo alla necessità di mostrare una diversa dimensione valoriale. Ma ha la funzione di convincere quelle stesse famiglie a lasciare l’Europa, gli Stati Uniti, il Canada o l’Australia, per stabilirsi nello Stato islamico. La politica familiare è un tassello decisivo nell’ideologia dell’Is. Far migrare famiglie preoccupate degli influssi negativi della cultura occidentale sui loro figli è parte essenziale della strategia statuale del gruppo di Al Baghdadi. Per riprodursi senza il solo elemento coercitivo, lo Stato islamico necessita che il suo mutevole territorio sia popolato da certo numero di famiglie portatrici di un alto tasso di coesione ideologica e destinate a fare da muro portante alla nuova costruzione islamista.
La partenza per territori come Siria e Iraq, in teatri di guerra in cui il rischio personale è notevolmente cresciuto dopo i massicci bombardamenti aerei della “doppia coalizione”, non è affatto facile per le famiglie. E sebbene il flusso delle muhajirat, le donne che “migrate per fede” in quei territori sia cresciuto nel tempo, il tasso di natalità delle coppie jihadiste è ancora troppo ridotto per dar vita a una sorta di lebensborn ideologico islamista. Così in Dawla c’è bisogno di figli. Figli destinati a diventare i convinti pretoriani del regime dell’ultima utopia. Figli che dovranno essere educati secondo gli autentici valori islamici. Per questo i teorici dell’Is, sollevano il tema. Rivolgendosi direttamente alle famiglie musulmane che vivono in Occidente. Un tassello della complessa sfida per la conquista dei cuori e delle menti che non si combatte non solo sui campi di battaglia ma anche tra le mura domestiche e nelle scuole del “regno della miscredenza”.