Vanity Fair, 25 novembre 2015
Nel primo sexy shop italiano, lì dove Giulio Sabbatini è cresciuto tra completini sexy e profilattici in membrana d’agnello
Aprì in via Pagano nell’aprile 1971. Poi si spostò in piazza Sempione 6, dove si trova ancora, in una delle zone più eleganti di Milano. L’insegna resta la stessa di allora: «Basta problemi». E il primo sexy shop italiano, fondato da Ercole Sabbatini e dalla moglie Angela. Lavoravano entrambi alla Durban’s, che allora era sotto la stessa proprietà di Postal Market, dove sperimentarono un clima di grande ottimismo e modernità. Tornati da un viaggio in Germania, durante il quale fecero visita a qualche sexy shop, decisero di aprire una vendita di articoli erotici per corrispondenza: Riservatissimo. E poi un negozio vero e proprio. «L’intuizione dei miei genitori», racconta Giulio Sabbatini che assieme al fratello gestisce oggi l’attività, «fu capire che c’era un mercato, fatto non di balordi ma di coppie». Nelle foto scattate all’epoca, mamma e papà sfoderano un grande «sorriso Durban’s». O forse alla Alfred Kinsey, il celebre sessuologo americano. Infatti per loro non si trattò soltanto di affari, ma di dare un personale contributo alla rivoluzione sessuale.
Ogni tanto qualcuno gli spaccava le vetrine. Sotto elezioni arrivava la Buoncostume ad apporre i sigilli o per disporre un sequestro di merce. Ercole si è fatto pure tre giorni di fermo a San Vittore. «Ho visto mia madre e mia sorella caricate su una volante», racconta Giulio, che è praticamente cresciuto tra completini sexy e profilattici in membrana d’agnello. «Il primo catalogo, molto spartano, prevedeva un vibratore, il Superfrùfrù, battezzato così in catalogo da mio padre».
In vendita oggi, oltre a costosi articoli di fabbricazione giapponese, resistono i vecchi romanzi erotici della Olympia Press. Giulio mi assicura che perfino un celebre filosofo e un ex presidente del Consiglio ne scrissero uno sotto pseudonimo. «Ma non mi chieda nomi». Tra i clienti ci sono uomini di oltre ottant’anni. Per esempio un ex commerciante di gemme preziose, che rimpiange il fisico dei vent’anni ma, aggiunge, avrebbe voluto essere ispirato da giovane dal suo magnifico, fantasioso cervello di oggi. «Da bambino accompagnavo mio padre a ritirare la merce», dice Giulio, «e come il figlio di un qualsiasi ferramenta lo aiutavo a sistemarla sugli scaffali». E a scuola? «Non facevo religione e un giorno mi scappò detto che mio padre vendeva vibratori. Fu un po’ imbarazzante. I miei non mi chiedevano di tacere, anzi. Erano molto battaglieri, mentre io con i miei tre figli sono più prudente. La versione ufficiale è che il padre lavora in un negozio di articoli sanitari». In effetti, il camice lo indossa.