Vanity Fair, 25 novembre 2015
I vigilanti, ovvero quelli che non dormono pur di leggere un post o rispondere a un messaggio
Sulla Terra è comparsa una nuova razza: i Vigilanti. Adolescenti, ragazzi del Millennio; una generazione «blu», come lo schermo che di notte fissa per ore, un piccolo cielo elettrico dentro la stanza buia. Dai 12-13 anni fino ai 30-35, sono i pionieri di un mondo senza sonno. Affrontano ogni mattina portando sulle spalle uno zaino invisibile, quello del riposo arretrato.
Un dato globale: rispetto alla generazione precedente, gli under 30 hanno perduto un’ora di sonno. Sei ore e mezzo di media; il 30% non arriva a sei per notte. Una nuova ricerca francese registra che il sei per cento dei dodicenni dorme meno di sei ore (invece delle nove necessarie durante il periodo scolastico). Significa oltre quarantacinque giorni di riposo in meno l’anno.
Preadolescenti e giovani adulti mostrano un tratto in comune: il ritardo accumulato rispetto al mondo esterno. La società va più svelta di loro, e per stare al passo reagiscono rosicchiando ore di sonno. È un meccanismo che si autoalimenta, il cervello non è veloce come si vorrebbe, e le facce sono sempre più tirate.
In questi anni si è parlato di vamping: i nativi digitali che non resistono alla connessione notturna si ritrovano sotto insegne digitali come #nientesonno o #sempresvegli. L’allarme non è finito, lo conferma l’indagine pubblicata in questi giorni da Telefono Azzurro e Doxa Kids, svolta su 600 ragazzi italiani dai 12 ai 18 anni. Un quinto di loro sente così tanto l’urgenza di essere disponibile da svegliarsi nella notte per leggere post e messaggi.
Due ore passate davanti a un tablet diminuiscono del 22% la melatonina, l’ormone del sonno. D’altra parte, l’arrivo di un «uaoong» su WhatsApp alza il livello di dopamina, l’ormone del piacere. Noi potremmo opporci con la forza di volontà, che però è resa fragile proprio dalla carenza di riposo.
Ma è un errore pensare che l’insonnia «blu» sia limitata all’adolescenza, età in cui conta prima di tutto l’approvazione degli altri.
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Il neurologo Piero Barbanti, direttore del Centro cefalee Irccs San Raffaele Pisana di Roma parla, a questo
proposito, di un «social jet lag»: «Noi tutti oggi ci cimentiamo con avversari spietati. È come partecipare a un gioco, se però di fronte non abbiamo una persona come noi ma un tablet o uno smartphone, che non hanno bisogno di pause, siamo costretti a trascendere i nostri limiti fisiologici: Facebook o Instagram sono avversari instancabili».
C’è poi un dato neurofisiologico: la luminosità degli strumenti di connessione. La luce manda al cervello un segnale, che dice di non dormire. Non c’è bisogno quindi che capiti qualcosa sullo schermo. Basta sia acceso.
«Il terzo motivo dell’insonnia è una questione di orari. La sera era il momento in cui le attività umane digradavano progressivamente. Oggi è prima di dormire che avviene la massima connessione, tra gruppi su WhatsApp o post su Facebook: proprio quando avremmo bisogno che la sollecitazione si affievolisse».
I ladri di sonno siamo anche noi, per esempio quando penetriamo – pur senza voler nuocere – nell’intimità dell’altro: ha visto che ho letto il suo messaggio, che cosa penserà di me se non rispondo?
La notte è anche l’alleata dei timidi. «Siamo in tanti», spiega Danilo, liceale diciottenne, «ad aspettare che gli amici si siano addormentati, per guardare con calma le foto di un profilo Facebook senza insospettire gli altri, e senza che ci facciano domande».
Ad aumentare è la sensazione di sapersi sotto controllo. «Siamo nudi davanti agli amici», e ai colleghi di lavoro,
dice Barbanti.
Il neurologo chiama questa condizione «pornografia multitasking». Il risultato: «Invece di dire ci penserò domani, si finisce per dire ci penso stanotte».
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Il vero Vigilante è per esempio quel terzo della popolazione inglese tra i 18 e i 35 anni che non riesce a dormire perché «pensa alle cose da fare o che non sono ancora state fatte».
Sembrava un problema «adulto», di chi avesse ruoli di responsabilità. La beffa è che l’insonnia da ritardo rispetto a obblighi e doveri tormenta chi responsabilità non ne ha: diplomati, laureati, dottorati senza lavoro oppure stabilmente precari.
Lo conferma Antonello, 26 anni e doppia occupazione, stagista sottopagato in uno studio di architettura di giorno, barista stanco la sera. «Mi resta la notte, spesso oltre le due, per avere una vita di relazione. Ovviamente la passo sui social, con persone nella mia condizione. Avrei bisogno di una giornata di 30 ore: non essendoci, l’unica cosa che mi sento di eliminare è il sonno».
Se si pensa che il tasso di occupazione dei nostri under 30 in sei anni è sceso dal 64% al 50%, e che di questi soltanto tre su dieci hanno un lavoro stabile, si capisce che la precarietà diurna non aiuta a dormire. Si vive un mondo di contratti a progetto, che non offrono pace o continuità.
Una società che aiuta a essere più produttivi e connessi, non rilassati ma efficienti, ha riservato ai Millennials professioni senza confini precisi, con orari spesso notturni, o dove essere illimitatamente disponibili è il requisito. Non avere un ufficio spesso significa anche non rispettare orari.
L’American Psychological Association l’ha definita la generazione più stressata di sempre, quindi anche la più insonne. Non è un caso che l’83% dei Millennials dorma con lo smartphone accanto. Si tengono pronti.
C’è chi sfrutta le ore piccole per staccarsi: sfugge alle pressioni esterne, e fa la cosa più semplice al mondo. Giovanni, grafico freelance: «Nel silenzio della notte penso, e poiché ho molto cui pensare e sono troppo impegnato per farlo durante il giorno, non riesco a non pensare. Il mio giorno poi contiene troppo rumore di fondo».
Oppure chi, come Angelo, studente al terz’anno di Biologia, riduce le ore di sonno per paura di restare solo con se stesso. «Non riesco a interrompere la connessione. Una voce dentro di me dice: vai avanti, rispondi, chiedi, scorri altre foto. È una forma di protezione: so che, quando spegnerò il cellulare, sarò preso da pensieri sgradevoli».
Smartphone, tablet e connessione costante ai social media sono diventati un’estensione naturale del corpo. L’insonnia è anche l’effetto di sapere che c’è a disposizione, questa protesi digitale. Passiamo più ore al giorno davanti a uno schermo che dormendo. Oltre a lavorare e vivere, c’è una terza condizione: essere accesi, «elettrici».
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Dice Crary che l’ultima trincea a essere espugnata è il riposo notturno. Resteremo svegli ed efficienti. E tanti consideriamo le ore di sonno come tempo perduto, da cui l’altro – amici, società, follower – non può tirar fuori nulla. Da qui, il passo a sentirsi in colpa è breve.
Laura ha 30 anni e, dopo la parentesi Expo, per l’ennesima volta è alla ricerca di un lavoro. «Spesso mi sento triste al pensiero di andare a letto. Resta l’ansia di arrivare a qualcosa. Rimango sveglia perché non so che cosa farò domani, e ormai è come se si fosse trasmessa al corpo un’instabilità. Non sono le preoccupazioni, ma sentire di non riuscire mai a concludere, arrivare a un obiettivo. E questo mette in moto un senso di colpa, d’inutilità. Essere precari è lavorare, ma non sentire di meritarsi il sonno. Anzi, non meriti nulla, quando sei precaria».
Non spegnere il computer è la soluzione anche di chi è impantanato in studi protratti oltre ogni limite, con la sensazione che un lavoro non lo troverà mai. È il caso di Paolo, che si trascina da un esame all’altro di Filosofia. Ha 27 anni: «Resto sveglio la notte perché mi vergogno di meno. Non avere niente da fare durante il giorno, mentre tutti gli altri corrono da qualche parte, è più umiliante».
Come salvarsi? Le indicazioni sono contrastanti. Sul Journal of Child Psychology and Psychiatry, un pool di ricercatori ha richiamato gli insegnanti a vegliare sui ragazzi, per evitare che l’insonnia porti a problemi più gravi. Altri psicologi dicono che sia meglio cominciare a casa, esercitando un controllo (purché delicato) sui figli: il bisogno di connessione è la loro reazione a giornate controllate dagli adulti, e piene di doveri.
Libri e giornali suggeriscono metodi o app per ricominciare ad accettare di annoiarsi, spegnendo lo smartphone. Un liceo privato londinese, l’Ucl Academy, ha invece fatto cominciare le lezioni alle dieci. I voti degli allievi sono migliorati di colpo.