Style – Corriere della Sera, 25 novembre 2015
Breve storia della camicia
Esiste nel guardaroba maschile la camicia «uniforme», così come esiste quella «a effetto». Spieghiamoci meglio: la prima ha un carattere e una ragione d’uso puramente funzionali, può essere di ottimo taglio e di tessuto pregiato, ma nell’insieme di un look si presenta quasi come un complemento, pensato per essere indossato sotto altri capi, ad esempio giacca, maglia o blouson. Ha una costruzione rapportata al busto e di essa spuntano in genere solo colletto e polsini, al massimo il plastron nei modelli da abbinare allo smoking. La seconda, invece, che forse ha una storia più lunga e di certo più interessante attraversando secoli di splendore ma anche momenti d’ombra, nasce e s’indossa perché sia in piena evidenza e colpisca. È concepita anche per mostrare e ostentare: ricchezza, status sociale, eccentricità. Può, o meglio, deve permettersi dimensioni in libertà, nella sua interezza come nelle singole parti. Ed è terreno fertile per ogni genere di interpretazioni: decorazioni, finiture, giochi di proporzione/sproporzione che coinvolgono busto, maniche, spalle e, sempre e comunque, colletto e polsini. In Occidente la vicenda di questa seconda anima della camicia comincia nel tardo Medio Evo e tende a concludersi a inizio Ottocento, con un ritorno che prende avvio intorno alla metà degli anni Sessanta e continua a essere ben presente nelle collezioni di oggi. La connotazione che forse colpisce maggiormente è la sua ampiezza, mai vicina al busto. Vale per il capo intero o solo per le maniche. Si nota anche sotto giubbe e farsetti. La ricchezza delle dimensioni prorompe, pare voler esplodere lungo le maniche o dagli scolli di ciò che la ricopre. Inoltre il tessuto che la compone si presenta come il campo ideale per un abbecedario intero di preziosità, un terreno da disseminare di bordi sfarzosi, intarsi, volant e ruche posizionati ad hoc, con focus ben precisi che privilegiano la parte frontale, ma ancor più polsini e colletti, autentici ceselli di pizzi e ricami.
Sono punti in cui si concentrano segnali inequivocabili di opulenza e anche di vanità. Il colletto in special modo fa suo il ruolo di protagonista. È aperto generosamente sul torace, oppure chiuso alla gola, rialzato verso il capo, inamidato a formare la ruota della gorgiera. Di rado manca di profili curatissimi, quando non è completato da cravatte ante litteram: nastri chilometrici che una volta sistemati svettano come sculture. Neppure la ventata della Riforma protestante cancella la magnificenza della camicia «a effetto».
Volenti o nolenti i mercanti fiamminghi, i banchieri tedeschi, i gentiluomini inglesi imparano a vestirsi di nero. Ma colletti e polsini maestosi restano. Non si sentono esentati dall’inserirli nelle rispettive tenute neppure i ministri dei cleri luterano, anglicano o calvinista, pur tuonando contro la Chiesa di Roma e predicando il rigore. Come si è accennato, da decenni la camicia importante è di nuovo una protagonista di rilievo nella moda Uomo. È un capo che vive di vita propria e non ha bisogno di un Tuxedo per rappresentare eleganza o glamour. Convive pacificamente con i modelli più essenziali da indossare sotto giacche e maglie. Nessuno qui vuole ergersi ad arbiter elegantiarum, ma è forse un bene che l’una e l’altra tipologia coesistano.
Il pluralismo è strumento di maggiori chance, più articolate. Non solo e non tanto nell’abbigliamento.