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 2015  novembre 21 Sabato calendario

Tutti gli amici di Riccardo Tisci, direttore creativo di Givenchy

C’è chi ha i testimonial, chi i brand ambassador. Riccardo Tisci ha gli amici: persone che conosce da una vita, e che se partecipano a un suo progetto è perché gli vogliono bene e lo stimano. La top model Mariacarla Boscono, Carine Roitfeld, Kanye West e Kim Kardashian: sono tutte persone di famiglia. Come Antony Hegarty, noto per il suo gruppo musicale Antony and the Johnsons: poeta, cantante, paladino dei diritti di omosessuali, trans e donne, quando si è trattato di raccontare chi sia Tisci per lui, ha risposto con la lettera piena di affetto e stima di cui pubblichiamo un estratto in esclusiva. Non che si tratti di un episodio isolato: anche l’incipit del libretto distribuito alla sfilata dello scorso 11 settembre a New York, per i primi 10 anni del designer da Givenchy, è preso da una lettera di Hegarty. E la release della collezione è una missiva di Marina Abramovic, altra amica fraterna di Tisci, che con lui ha curato l’allestimento dello show, una riflessione sull’amore. Beh, devono piacere davvero tanto le lettere a Riccardo. «In realtà no», risponde lui, pensoso.
Siamo a Milano, nella sua suite: le finestre sono spalancate, l’aria è ancora calda e lui, ignaro del ciclone che poche settimane dopo lo investirà come papabile successore di Raf Simons da Dior, è qui per celebrare l’apertura del primo store milanese di Givenchy. Poche ore dopo presenzierà al party in suo onore accompagnato da Franca Sozzani e Cicciolina, ma per ora si sta rilassando. Tornando alle epistole: «A 18 anni ho smesso di scrivere: disegnavo, ritagliavo, cucivo, tutto ma non quello. Ho capito il perché da poco, quando ho ritrovato i miei diari di bambino: la mia famiglia era povera, non ho mai avuto un padre, e reagivo a quel dolore mettendo su carta la rabbia, la paura e il senso d’inadeguatezza che provavo allora. Poi, forse per liberarmi inconsciamente di quei sentimenti, una volta cresciuto ho smesso di scrivere, ma la vita ha continuato a farmi ricevere lettere bellissime: quelle di Marina e Antony sono state un’idea loro. Sono vere e meravigliose». Con entrambi c’è un rapporto profondo, di notti passate a piangere, ridere e parlare. «Con Antony stiamo lavorando a un progetto musicale dedicato alla nostra amicizia: qualche anno fa Marina e io lo abbiamo aiutato in un momento davvero buio e lui, che odia ogni evento, per ringraziarmi s’è persino esibito a un mio show, nel 2013. Sapeva quanto ci tenessi: la collezione era dedicata alle mie donne».
Una madre e otto sorelle, tutte più grandi di lui: eccole, le donne di Tisci. «Se non sono finito male è stato grazie a loro, che mi hanno riempito d’amore. A 17 anni decisi di andare a Londra per studiare moda proprio perché volevo renderle felici, come loro avevano fatto con me. Nessuno credeva che avrei retto, ed è stata dura: facevo lavori tremendi, e la nostalgia di casa era intollerabile. Parlavo con mia madre solo una volta alla settimana, con le mie sorelle che pagavano a turno la telefonata perché né io né lei potevamo permettercelo; poi però ho vinto la borsa di studio alla Central Saint Martins, e da lì non mi sono più fermato».
Nasce dalla solitudine provata allora, continua, la necessità di crearsi una famiglia in loco, un gruppo da cui tornare e su cui fare affidamento. «La mia gang mi ama, mi protegge, mi fa sentire sicuro. Certo, negli anni è capitato che qualcuno tradisse la mia fiducia, ma preferisco pensare che chi lo ha fatto non fosse in malafede: l’odio non m’è mai appartenuto, non sono stato educato così». Pur definendosi «un timido che ha imparato a nasconderlo», quando s’è trattato di prendere decisioni impopolari Riccardo Tisci non s’è mai tirato indietro. «Le mie prime collezioni per Givenchy venivano massacrate da quei critici che mal digerivano l’arrivo di un outsider in una maison storica: più che a me erano rivolte a chi mi aveva messo lì, ma credimi, alle volte non erano facili da digerire. Poi, quando dopo solo quattro anni il brand ha raggiunto il break-even, improvvisamente la mia idea di unire couture e streetwear, e vestire così sia le donne più chic che gli skater, è diventata geniale. Idem con Kim e Kanye: non li ho mai considerati personaggi ma amici, e per me è stato naturale introdurli in questo mondo. Apriti cielo. Peccato che chi ci insultava ora è disposto a tutto pur di averli ai propri eventi e sulle copertine delle proprie riviste. E quando ho usato per una campagna Lea T (celebre modella trans, ndr)? Oggi l’argomento non è più tabù, ma all’epoca mi dissero di tutto. Ah, e per la mia estetica gotica mi hanno dato pure dell’Anticristo.
Io, che sono religiosissimo!». L’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei gay non è, per usare un eufemismo, di grande apertura. Riccardo Tisci, da cattolico, come vive la questione? «Credo nel Papa, ha il carisma e la testa per fare grandi cose: mi preoccupa di più che la Chiesa non riesca a parlare ai giovani. A maggio ho donato un manto alla statua della Madonna delle Grazie di Palagianello, in Puglia, il mio paese d’origine: ero alla cerimonia, e il vescovo di Taranto mi ha detto di non avere mai visto così tanti ragazzi in chiesa. Certo, molti erano lì per vedere lo stilista e i suoi amici “strani”, però hanno anche capito che andare a messa non è da sfigati. Sarebbe bello se l’idea prendesse piede». Chissà, magari gli riesce anche questa.