D - la Repubblica, 21 novembre 2015
Creare nuovi suoni per i nostri dispositivi tecnologici è un’arte e un grande business
Siete in una stanza, sulla metropolitana, per strada: ci sono i soliti rumori molesti, la gente che grida nell’auricolare, musica che magari non vi piace. E poi c’è il mondo dei microsuoni: le notifiche dai telefonini degli altri, lo swoosh di qualcuno che ha appena inviato un’email, il gorgogliare da cartone animato che fanno le chiamate su Skype dal segnale di apertura a quello di interruzione.
Fino a qualche tempo fa era un sottomondo, ma adesso il brusio sta diventando sempre meno secondario e meno anonimo, perché quello che ha detto il famoso giudice Stewart a proposito della pornografia, «quando la vedi la riconosci», vale anche per i microsuoni, quando li senti. Specialmente perché, a differenza delle suonerie che ci personalizziamo come ci pare, con la tendenza a scegliere la più strana, questo genere di messaggi sonori è solitamente standard (in ogni caso, su Buzzfeed online c’è l’audiotest per vedere quanto si è in grado di riconoscere tra notifiche da Whatsapp o da Messenger, e altre più difficili). «Il suono di fine chiamata con Skype mi fa venire le lacrime», twitta un’adolescente indiana. «A me le fanno venire pure quelle che riceve il mio compagno di stanza», dice un’altra. Il rapper ASAP Rocky manda una foto su Instagram con il commento: «La faccia della tua donna quando sente che hai ricevuto una notifica sul telefonino». E siccome quando si cambia qualcosa, come è successo con il logo di Google, non piace mai, quando sono cambiate le notifiche di Facebbok in parecchi hanno protestato: «Il nuovo suono è ridicolo, ridatemi quello vecchio!». L’unico rumore di avvertimento che mette d’accordo tutti pare sia il riiip universale del cestino delle email quando lo svuoti, ha ammesso la reporter di tecnologie Adi Robertson, preceduto dal rituale catartico della schermata: «Sicuri di volerlo fare? Quest’azione sarà definitiva». Riiip. In principio è nata come semplice sanification: bisognava dare dei suoni alle tecnologie quotidiane, altrimenti mute, per avvertirci di qualcosa, ma anche per dare un senso e una consistenza al nostro infinito trafficare digitale. «Finché il ping o il gluug, nel caso di servizi usati da milioni di persone, non diventa familiare e quindi non è più una banale “chiamata all’azione”, ma anche un’etichetta sonora che ti ricorda il prodotto. E qui siamo all’audio-branding», spiega Steve Keller, compositore, produttore musicale e sociologo e adesso Ceo di iV Audiobranding, una delle agenzie – in aumento – che si occupano di sonic identity di marchi e compagnie varie (da Nikon a Netflix a Commerzbank).
Se Google e gli altri si rifanno il logo ogni tot di anni, per l’audio non è diverso. Quindi Skype, toccati i 300milioni di utenti dai 54 milioni di dieci anni fa, ha pensato che fosse ora di un restyling dei suoi gluug vagamente acquatici. «Ci voleva qualcosa di più moderno, nitido e pulito, sempre mantenendo un core, come si dice tecnicamente, molto organico e umano», prova a spiegare. Si dice sempre così, aveva ironizzato un’editorialista nostalgica sul New Yorker. «Ma bisognava anche sganciarsi dall’idea di Skype come un’evoluzione della vecchia telefonata, che i nativi digitali non sapranno nemmeno cos’è, e renderla qualcosa di completamente diverso, di più immediato e naturale», racconta al telefono Steve Milton, musicologo inglese di We Are Listen, l’agenzia newyorkese-australiana di strategie incrociate tra musica e marketing ingaggiata per l’operazione. Che è delicatissima: «È come se la persona con cui convivi un bel mattino cambiasse voce».
La versione precedente dello Skype sound l’aveva creata Steve “Buzz” Pearce, sintetizzando vento, acqua, voci umane, bolle nel liquido. Milton ha creato una gamma di suoni completamente nuova, impiegando mesi a trovare quelli giusti, compreso il woosh che pare emettano le balene sott’acqua. C’era poi da lavorare sulla versione Skype For Business, per renderla «meno giocherellona e invasiva. Un conto è se ti connetti con tua nonna, un altro se è il tuo capo», spiega Milton, che è stato ingaggiato anche da Virgin Mobile. «L’idea è stata creare un set di microfoni per telefonini derivati dalla chitarra, usando distorsioni e feedback, per creare qualcosa di inconfondibile». L’altra regola aurea è fare in modo che notifiche e altri segnali non siano replicabili dalla voce umana. «Creerebbe confusione. Sarebbe il delirio!», conclude Milton. La prova viene dal video messo su YouTube da un adolescente svedese che imita con bocca e altri arnesi una serie di notifiche celebri, facendo impazzire l’amico dietro di lui, convinto che arrivino dal suo telefonino.
Skype 4 anni fa se l’è comprata Microsoft, la stessa compagnia che aveva fatto comporre il suono di apertura del programma Windows 95 al papà dell’elettronica Brian Eno, e quello per Windows Vista al chitarrista Robert Fripp. E forse non è un caso che la Microsoft fosse di Bill Gates, perché invece pare che Steve Jobs di Apple fosse convinto che nessuno volesse sentire strani suoni uscire dal proprio computer (poi cambiò idea coi telefonini inventando l’iPhone, chiaro).
L’idea era ottenere degli equivalenti per le tecnologie digitali di brevi suoni memorabili tipo il ruggito del leone MGM all’inizio dei fìlmoni: un marchio di fabbrica. Ma non è solo un fenomeno da smartphone: tra le ultime trovate marketing della Coca-Cola si segnalano le note del suo jingle ricreate alla cassa dei supermarket quando si passa il codice a barre delle lattine sotto lo scanner. Diversi americani sostengono di non poter più fare a meno del cha-ching che fanno le notifiche dei pagamenti in moneta virtuale con il colosso del settore Venmo. E se molti sanno che ascoltando musica in cuffia, specie se elettronica, è facile scambiare le notifiche come parte del brano, l’ex Pink Floyd David Gilmour ha inserito in un singolo del suo ultimo album Rattle the Lock le quattro note che aprono gli annunci nelle stazioni ferroviare francesi, SNCF, identità sonora studiata dalla compagnia di audiobranding parigina Sixième Son e pensata per essere riprodotta su app e servizi digitali. «Ogni volta che l’ascoltavo mi metteva voglia di ballare e non vedevo l’ora che ci fosse un altro annuncio», ha raccontato Gilmour.
«I casi più interessanti di evoluzione dei microsuoni vengono dall’industria automobilistica: il Ceo di Daimler Dieter Ziesche ha annunciato che le auto del futuro saranno come degli enormi smartphone con le ruote», racconta Cornelius Ringe, direttore della ABA, Audio Branding Academy di Amburgo, che è una specie di supervisore super partes dei risvolti sociali e sonori della rivoluzione digitale. Nel nome di quella che lui chiama «sonic ecology, avere coscienza del nuovo ambiente sonoro complesso, con i bilioni di microsuoni attorno a noi e prossimamente addosso». Quando si diffonderanno gli wearables, i dispositivi indossabili.
James Kellaris, docente alla Cincinnati University che studia da anni come si creano i tormentoni musicali che ti si impigliano nelle orecchie, fa notare che i messaggi sonori hanno un formidabile vantaggio su quelli visivi: «Abbiamo le palpebre per chiudere gli occhi, ma nessun equivalente per chiuderci le orecchie: per ragioni di sopravvivenza evoluzionistica, i nostri antenati dovevano poter sentire il ruggito di una tigre nei paraggi prima di trovarsela davanti».
Oggi è una questione evolutiva di economy. Il visionario tecnologico Dries Buytaert ha dichiarato che «se la vecchia era del web è stata pull-based (pull come tirare, cioè i siti cercavano di attirarci ma eravamo comunque noi ad andare a cercare online ciò che volevamo sapere o comprare), il suo futuro push-based (push come spingere): in pratica sarà il web a venire da noi spingendo sui nostri telefonini con news personalizzate, suggerimenti, avvertimenti: tutto tramite notifiche in prima battuta sonore. Puma dirà che è ora di comprarti un altro paio di scarpe e Marriott ti offrirà una stanza sapendo che hai perso il volo. Blip, e chip».
Un mezzo incubo? È quello che si è chiesto il NYC Media Lab nel recente convegno Il Futuro delle Notifiche: Nirvana o Nightmare? Steve Keller segnala un pericolo, ben oltre il fastidio: se il mondo dei microsuoni oltrepassa la soglia di inquinamento acustico, è possibile beccarsi la “sindrome dell’infermiere”. «È una condizione nota a chi lavora nell’ambiente sanitario ed è soggetto costantemente ai bip e blip delle apparecchiature, il sovraccarico dei piccoli allarmi stordisce fino a far perdere una chiamata d’emergenza importante. I ricercatori ci lavorano seriamente, perché in un ospedale perdere un alert o confondere un bip è una questione di vita o di morte». Noi rischiamo generalmente meno, ma la sindrome è la stessa. Qualche rimedio in arrivo però c’è, dice Keller: «Anche le nostre tecnologie hanno orecchie, possono arrivare a percepire gli stessi suoni che sentiamo noi, magari quelli che ci sfuggono. Una delle compagnie interessate a questi sviluppi si chiama onomatopeicamente Chirp.io e lavora a far comunicare tra loro i nostri device attraverso notifiche e simili». Così come la data sonification, cioè la trasformazione in audio della mole di Big Data, potrebbe essere la soluzione per analizzarli velocemente e facilmente (i primi, notevoli test sono stati fatti con studi sul cancro e sul cambiamento climatico, non roba per adolescenti stufi di Whatsapp).
Qualcun altro è scettico, detesta i ping e pensa che ci rovinino la vita. Uno studio della Florida University ha provato che una notifica ha lo stesso potere di distrazione di una lunga e invasiva suoneria telefonica. Certo, si può sempre schiacciare i pulsante off silenziando il telefonino e gli altri dispositivi. Ma allora si finisce per provare quello che ha raccontato Otto Toth, Chief Technology Officer dell’Huffington Post, dopo essersi comprato un Apple watch: «Ho pensato subito che stavo ricevendo troppe notifiche. Ma appena le ho spente tutte, mi sono sentito strano: Sono vivo? Respiro? Mi hanno licenziato? Nessuno mi avverte? È un incubo di cui non possiamo fare a meno».