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 2015  novembre 25 Mercoledì calendario

Sainte-Beuve, l’uomo che attese la morte di Chateaubriand per scrivere una biografia al vetriolo

Sainte-Bave. Così Victor Hugo aveva ribattezzato l’ex amico Sainte-Beuve, viscido e velenoso, stante il duplice significato del termine in francese. E d’altronde, Mes Poisons, i miei veleni, era il titolo da quest’ultimo scelto per una raccolta di saggi, una sorta di auto-consapevolezza intinta nello spirito di un’epoca che voleva l’uomo di lettere mondano e moralista, censore magari divertito, ma mai complice rispetto alle malefatte del soggetto indagato. E in effetti il metodo critico-letterario di Sainte-Beuve aveva un po’ il piglio poliziesco di uno Javert uscito da I miserabili dell’Hugo prima citato, una continua opera di smascheramento, un moltiplicare gli indizi per trasformarli in prove, un pedinamento ossessivo in cerca di ogni pista e di ogni nascondiglio, svelati i quali all’autore sotto inchiesta non sarebbe restato altro che la condanna per aver scritto il falso.
Critico emergente, ma non ancora critico sovrano, a trent’anni Charles Augustin de Sainte-Beuve era stato ammesso alla lettura di brani scelti delle Memorie d’oltretomba di Chateaubriand che Juliette Récamier, musa, amante e amica dell’autore di Il genio del Cristianesimo, aveva organizzato nel suo salotto. Avvolte in uno scialle di seta nera, le pagine manoscritte venivano date dall’autore agli amici incaricati di leggerle e, in quell’atmosfera raccolta, l’ascolto aveva un qualcosa di omerico, l’oralità che si impone, la voce che si fa leggenda. Sainte-Beuve ne era rimasto grandemente ammirato e di questa ammirazione aveva reso partecipi i lettori della Revue des deux mondes, anche se, come non avrebbe dimenticato di sottolineare sedici anni più tardi, nel darne invece nel suo Chateaubriand un giudizio severo, «nel quadro lusinghiero e nella penombra incantata in cui queste pagine nascenti allora ci si svelavano», le sue impressioni erano state, come dire, «comandate e raddolcite da un’influenza amabile, alla quale non si era abituati a resistere. Madame Récamier vi domandava di essere cortesi e, domandandovi ciò, vi prestava un po’ della sua cortesia».
In realtà, se volessimo adottare su Sainte-Beuve il suo metodo critico deduttivo, si potrebbe legittimamente sospettare che fra l’elogio sfolgorante di un tempo e le critiche velenose del tempo successivo, c’è di mezzo la morte di Chateaubriand e della sua fedele ammiratrice... Non sono dunque più possibili né messe a punto né ritorsioni da parte dei diretti interessati, da tenere invece bene in considerazione in quel 1834 in cui l’uno era al vertice della sua gloria letteraria e l’altra del suo potere sui salons parigini... E sempre per andare dietro al piglio poliziesco-investigativo di Sainte-Beuve, si potrebbe ancora sospettare che dietro l’acredine con cui adesso veniva, fra l’altro, sottolineata l’ipocrisia sentimentale di Chateaubriand, troppo donne e troppi giuramenti d’amore per poterlo ritenere sincero, si annidava la rabbia gelosa di chi nello stesso campo era stato un rivale meno fortunato... Del resto, Sainte-Beuve soffriva di ipospadia, una malformazione congenita dell’apparato genitale, un pene poco o nulla sviluppato, un sesso quasi ermafrodita... Era stata questa sua femminilità a fare breccia nel cuore triste di Adèle Hugo, sfiancata nel fisico dalla incontinenza sessuale del marito, un tradimento perfidamente rivelato a quest’ultimo dallo stesso Sainte-Beuve, e che avrebbe portato alla fine d un’amicizia, ma non di un matrimonio, perché Adèle era comunque rimasta con Victor lasciando affranto il povero Charles-Augustin.
Lo Chateaubriand che fra il 1850 e il 1854 Sainte-Beuve raccoglie in volume e che ora appare in italiano (Aragno, traduzione di Mafaldo Celestini, prefazione di Giuseppe Marcenaro, 132 pagine, 12 euro) è per certi versi l’abrégé della sua opera maggiore sul tema, quel Chateaubriand et son groupe littéraire sous l’Empire che segnerà per tutto il secondo Ottocento e ancora oltre la ricezione critica di questo scrittore in patria e all’estero, la sua leggenda nera: il ritratto di un io narcisistico e menzognero, istrionico ed eternamente mascherato. Un saggio critico comunque magistrale, perché Sainte-Beuve univa all’intelligenza e alla sottigliezza una cultura esemplare e uno stile di prim’ordine.
«La letteratura, la produzione letteraria non è per me distinta o per lo meno separabile dal resto dell’uomo e dell’organizzazione; io posso apprezzare un’opera, ma mi è difficile giudicarla indipendentemente dalla conoscenza dell’uomo stesso; e direi volentieri: tale albero, tale frutto. Lo studio letterario conduce così naturalmente allo studio morale». Sotto questa angolazione, è chiaro come di fronte alle Memorie d’oltretomba Sainte-Beuve si ritraesse infastidito e ostile. Cerca l’autobiografia e trova invece qualcosa di diverso e che gli sfugge perché non lo comprende. Ciò che gli resta in mano è nient’altro che «una narrazione ove tanti toni si incrociano e si urtano, un carattere ostinato, una vanità persistente e amara che, a lungo andare, diviene quasi un’abitudine viziosa. L’inconveniente capitale di questi Mémoires è che non si sa chiaramente con chi si ha da fare leggendoli. È un’opera senza moralità. Vi manca l’anima».
Come ha scritto Marc Fumaroli nel suo Chateaubriand. Poesia e terrore (Adelphi), Sainte-Beuve «sarebbe stato capace di accusare Proust romanziere di ipocrisia con il pretesto dell’importanza che dà nella Récherche alla sonata di Vinteuil, mentre nella vita gli piacevano soprattutto le operette...». Con Chateaubriand, il «tale albero tale frutto» non funziona proprio perché le Memorie d’oltretomba, di cui adesso Einaudi manda in libreria una nuove edizione, nella sontuosa collana I millenni (due volumi, 2304 pagine, 160 euro), non sono una semplice e pedissequa autobiografia, ma molto di più e di diverso, il racconto di un memorialista, di un moralista e di uno storico, di un poeta epico e di un nuovo Orfeo, una sorta di io extraterrestre, come già aveva notato con la sua sensibilità di poeta Baudelaire, con «un accento quasi straniero per lumanità», un profeta delle epopee romantiche. È un io poetico quello che anima le Memorie e le maschere indossate non sono strumenti banalmente menzogneri, ma invenzioni della propria immagine. E questo a farne la fonte di tutto il romanzo moderno, qualcosa che, con tutta la sua intelligenza, Sainte-Beuve non poteva capire. Chateaubriand andava di là dal suo tempo, il suo zelante censore restava al di qua, un brillante uomo dell’Ottocento.