Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2015
Bologna celebra il suo Magnus, inventore di Alan Ford
«Roberto Raviola nasce a Bologna il 31.5.39 sotto un gran temporale. L’oroscopo cinese dice che è l’anno del gatto: gatto bagnato ne vedrà delle belle! Per esempio la guerra che comincia poco dopo; ed è molto importante per la formazione del suo carattere. Infatti, quando nel 1945 la guerra finisce, il giovane Roberto trova a sua disposizione una specie di paradiso terrestre: le rovine dei palazzi abbattuti, ricche di angoli per giochi fantastici».
È l’incipit dell’autobiografia di Magnus, circa duemila battute scritte a macchina nel 1982: introducevano tre pagine di fumetto, utili a uno dei più popolari disegnatori del Novecento italiano per presentarsi al pubblico del festival francese di Angoulême, che quell’anno l’aveva voluto tra gli ospiti. Il 2016 segnerà il ventennale della morte di Magnus, avvenuta nel 1996 poco dopo aver terminato (quasi, in realtà: l’opera fu portata a compimento dall’amico Giovanni Romanini) il suo testamento artistico, il leggendario Texone intitolato La valle del terrore.
La sua città, Bologna, ha però già cominciato a ricordarsi di lui: nel weekend appena trascorso – che ha visto andare in scena anche l’appuntamento annuale con il Festival di fumetto Bilbolbul – è stata inaugurata presso gli spazi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna la mostra (aperta fino al 6 gennaio) Magnus e l’Altrove. Favole, oriente, leggende curata da Luca Baldazzi e Michele Masini. Baldazzi lavora da anni con il fumetto d’autore, all’interno della casa editrice Coconino Press oggi unita a Fandango, fondata da un altro autore storico del fumetto che gravita intorno a Bologna, Igort, e prima responsabile della nascita del settore graphic novel all’interno del panorama editoriale italiano.
È lui a spiegare che l’Altrove di cui si parla nel titolo è l’esotico, l’avventuroso, il fantastico: lo stesso dei giochi del giovane Roberto citati poco sopra. «Siamo andati alla ricerca delle radici del suo immaginario – racconta Baldazzi – per trovare una chiave di lettura diversa dal solito. Da tutto quello, ed è tanto, che è già stato detto e scritto su Magnus». In effetti il fumettista emiliano è rimasto negli occhi di almeno tre generazioni, ancora oggi citato spesso dagli autori più giovani come punto di riferimento e ispirazione artistica.
Nessuno dimentica le opere frutto del sodalizio con Max Bunker (al secolo Luciano Secchi, con il quale non sono mancati i contrasti dopo la fine della collaborazione): prima i neri italiani Kriminal e Satanik, poi soprattutto Alan Ford, ancora oggi in edicola sotto l’egida dello stesso Bunker. Ma anche la seconda parte della carriera di Magnus è altrettanto significativa: c’è Lo Sconosciuto, alla cui ideazione contribuì in parte anche l’amico Francesco Guccini, un poliziottesco tanto imbevuto di realtà anni Settanta da sfiorare il reportage disegnato; poi I briganti, La compagnia della forca, Le femmine incantate… Magnus ha cambiato rotta molte volte, mentre contribuiva all’abbattimento dello steccato che divideva la cultura popolare e quella “alta”. Eppure ha sempre camminato dritto, verso l’Altrove che dà titolo alla mostra bolognese. «La sua opera, tutta insieme, è un feuilleton lungo trent’anni», continua Luca Baldazzi. «Noi ci siamo concentrati su opere inattese e meno conosciute, compresi alcuni originali mai esposti prima del suo periodo pre-Magnus, che infatti sono firmati semplicemente Raviola. Il mio pezzo preferito sono alcune illustrazioni di racconti per l’infanzia realizzate per l’editore Malipiero: nonostante siano dedicate ai bambini, hanno un tocco grottesco e inquietante».
Insieme alla mostra è stato presentato un documentario (o meglio, un docu-film) del regista romagnolo Paolo “Fiore” Angelini – intitolato Ho conosciuto Magnus – e un libro pubblicato da Alessandro Editore, Magnus prima di Magnus. Gli anni dell’apprendistato di un maestro del fumetto, curato da Baldazzi con Fabio Gadducci.
Non si tratta di un catalogo, ma di un vero e proprio companion piece che completa il discorso della mostra. È pieno di ricordi, a partire da quello del primo disegno mai pubblicato da Roberto, quando aveva solo nove anni. Illustrazione militante, a dir poco: per la cellula del Pci di via Galliera aveva disegnato un piccolo manifesto sul quale campeggiava una piovra grigia, con scritto sopra «Usa», che allungava sull’Italia un tentacolo trafitto dalla freccia rossa del quotidiano L’Unità. Altri tempi, altri luoghi, non c’è dubbio. Tempi e luoghi di cui Magnus era figlio, e che poi avrebbero ispirato i suoi fumetti: nel libro c’è ad esempio uno studio destinato alla versione fantascientifica di Pinocchio scritta da Max Bunker (che poi non fu realizzata da Magnus), in cui appare un Mastro Ciliegia ricalcato sulla figura di Settecappotti, poeta senzatetto – e forse un po’ matto – che girava per la Bologna dell’epoca in bicicletta, con addosso un numero imprecisato di giacconi, uno sopra l’altro, e in testa un elmetto «per proteggersi dalle radiazioni».
L’illustrazione più significativa rimane però quella che raffigura un ragazzino perso nella lettura di un libro, intento a immaginare mondi fantastici popolati di cavalieri e astronavi. Un disegno che risale a quando Magnus aveva dodici, tredici anni. Evidente, che avesse già cominciato a inseguire l’Altrove.