Il Messaggero, 25 novembre 2015
Bergoglio andrà in giro per l’Africa con la jeep aperta e senza giubbotto anti-proiettile
La valigia del Papa per l’Africa sarà leggera. Niente giubbotti antiproiettile, né precauzioni particolari. In questi giorni ha confermato persino l’utilizzo della jeep scoperta pur di riuscire a salutare più gente possibile, facendo fermare la vettura ad un suo cenno per far salire sopra qualche bambino curioso. La gente in Africa deve poterlo vedere, anche da lontano, e pazienza se questo manderà in fibrillazione la sicurezza di tre Stati, delle Nazioni Unite, e del Kenya, dove da tempo la paura di un attentato non si placa, viste le infiltrazioni degli Shabab, le milizie somale legate ad Al Qaeda. Poi visiterà l’Uganda e il Centrafrica una terra ricchissima e poverissima, al tempo stesso, attraversato da tre anni di guerra civile tra musulmani (infiltrati da terroristi del Ciad e del Mali) e da cristiani. Seleka contro anti-Balaka, uguale terrore, devastazione, sangue, odio cieco. Nemmeno i fatti tragici di Parigi, sono riusciti a far cambiare idea a Bergoglio. Il dolore non lo ha intaccato. Anzi. Lo ha convinto a tendere ancora di più la mano. Chi lo ha osservato in questi giorni ha descritto un uomo sereno, dotato di una grande forza interiore, che non si lascia intaccare dalle angustie quotidiane.
«MESSAGGERO DI PACE»
Da Papa ha vinto la ritrosia a viaggiare, lasciandosi alle spalle tante nevrosi, consapevole che adesso è diventato il punto di riferimento per i cristiani nel mondo, per le persone di buona volontà. Anche stavolta non ha avuto dubbi, confermando tutte e tre le tappe. Nairobi, Kampala e Bangui. Per la prima volta, stamattina, alla partenza dell’aereo dell’Alitalia, con lui non c’è il capo della Gendarmeria, Giani, spedito da Bergoglio a Nairobi e a Bangui in avanscoperta, a preparare sul campo le misure necessarie a proteggere il suo seguito, i giornalisti e l’immensa folla prevista in ogni luogo toccato. La collaborazione è stata massima da tutte le parti. A Bangui, addirittura, si stanno impegnando direttamente anche nei vari arrondissement, la gente semplice. Il vescovo Nzapalinga ha preso direttamente accordi con l’Imam e i capi tribù. «L’arrivo del Papa è visto da tutti come il segno di una grande solidarietà. Grazie alle sue parole l’ignorata Repubblica Centroafricana ha capito di non essere sola. Nel quartiere del Km5, a maggioranza musulmana, come pure a Boy-rabe, ci sono già striscioni che porgono il benvenuto a colui che qui viene più chiamato Watokua-ti-siriri, il messaggero della pace».