la Repubblica, 25 novembre 2015
«Io non mi ritirerò mai». Confessioni di Francesca Schiavone
Pasionaria. Rivoluzionaria. Di Francesca Schiavone s’è detto tutto e il contrario di tutto: prima Slammer (Roland Garros 2010), migliore azzurra di sempre: n. 4.
E oggi, a 35 anni, che fa? Si ritira?
«Vi posso già dare il titolo: io non mi ritirerò mai».
Ma la Pennetta, la Vinci…
«Flavia l’aveva già deciso. E Robertina… lo voglio vedere».
Ma quei capelli bianchi…
«Assai… ma da due anni...».
E non si ritira, neanche dopo un 2015 mogio mogio.
«Qualcuno mi ha detto: gli artisti hanno il 250% in più delle frustrazioni della vita. Tocchi il cielo, ma vivi anche questo».
Cosa ha vissuto?
«Sono stati anni così tosti, così duri, che si mi guardo allo specchio oggi mi stringo la mano, me la batto sulla spalla».
Vincere uno Slam, e poi…
«Una volta realizzato il sogno devi essere bravo a trovare un altro. A trovare nuove motivazioni».
Ma i Federer/Djokovic/Nadal? Come fanno?
«Altra educazione».
Quindi è caduta.
«Succede se non sei bravo a saper vivere quel momento, a saperti proteggere, a volerti bene, a crescere e poi affrontare una nuova stagione della vita».
Com è cominciato?
«Piano piano, che quasi non te ne accorgi. Difficoltà mie personali, poi scelte sbagliate».
E la classifica ne risente.
«La classifica scende. Poche partite vinte, il livello di frustrazione sale alle stelle».
E i rimedi? Quali sono?
«Ci sono due modi di vivere questo: il primo: sono 125 del mondo, ma cosa sto facendo? Guarda dov’ero… chi me lo fa fare, ho 35-36 anni, non mi va di vivere in hotel così, risentire quella frustrazione, giocare per dodici persone».
E il secondo?
«Tornare a sentire te stessa, giocare con emozione, sentire il tuo sudore. Desiderare di farlo in pace con te stessa. Perché non è un numero che fa differenza, la differenza la faccio io, nel momento in cui sento che mi emoziono».
Immagino che abbia scelto la seconda opzione.
«Non so quante persone sarebbero oggi qui. Ad affrontare un torneo da 100mila dollari. A volersi mettere lo zainetto sulle spalle e giocare una qualificazione di uno Slam».
Una scelta non di comodo.
«Oggi scelgo, per il 2016, di voler fare cose straordinarie. Voglio il record dei grand slam giocati, 62 consecutivi, e giocare anche i tornei piccoli, con lo zainetto in spalla».
Cos’è successo?
«Succede che riordini la tua vita, cambi team e persone nuove, con la gioventù che porta energia. Energia pura».
Un bel messaggio.
«Il tennis mi ha dato tantissimo. È arrivato il momento di trasmettere di dare ciò che conosco e ho ricevuto. Una cosa bellissima».
Le è scattato un clic.
«Me ne sono resa conto a luglio: iniziavo a guardare l’altro dall’altra parte della rete. La cosa mi ha stuzzicato, e mi si è aperto un mondo. L’accorgermi dei difetti ha fatto venire la voglia di allenare».
Attenzione…
«Piano… rispetto al passato, ho cambiato approccio. Prima magari mi facevo i fatti miei, ora scambio due chiacchiere con i giovani, faccio domande. Mi piace vedere cosa succede dall’altra parte».
Allenare…
«Dovessi iniziare un progetto, penso che dal ragazzino vada tirato il meglio. E poi la forza fisica, far vedere al ragazzo il campo a 360°».
Si avverte la passione.
«Sono cose stupende, di cui prima non m’accorgevo. Ecco, io riparto con questa visione. E voglio prima di tutto amare me stessa, e poi quello che faccio».
Il 2016 è dietro l’angolo.
«Sogno di essere, voglio essere la rivale di Serena Williams. Ecco, quando lo leggeranno diranno che sono fuori di testa».
Le arriverà qualche whatsapp dal gruppo magico.
«Il gruppo whatsapp con Pennetta, Errani e Vinci. Mai far leggere i nostri testi».
Un’iniziativa simpatica.
«Sarà l’età, quello che è successo, la gioia che ho sentito, la curiosità di starle dietro, il dare carota e bastone, caratteristica del mio rapporto con loro, ma ora ha un significato diverso rispetto a prima. Io più morbida, elastica. Ci tengo. Siamo cresciute insieme. Avere una chat in comune è per stimolarsi, chiedere aiuto, confrontarsi».
Si stava spegnendo e Pennetta/Vinci l’hanno riattivata.
«Mi stavo spegnendo? Ero morta. Ma nella morte…».
La resurrezione.
«Ma non è un numero, o la classifica. Si tratta di uno stato. Di come stai con te stesso. È quello che sei tu, quello fa la differenza. Ritrovarmi per me è emozione».
La persona viene sempre prima dell’atleta.
«Ho messo in dubbio il mio gioco, sbagliando. Ma quando inizi a ritrovarti… penso che non esiste una difficoltà insormontabile. C’è un’altra via di vivere, che superi con le unghie».
In fondo ha vissuto cose che nessuno prima.
«Nel 2010 eravamo tutti impreparati. La prima volta di uno Slam, non sai cosa fare. E pensare che nel 2009 andai da Renzo Furlan e gli chiesi come si vinceva uno Slam. Lui mi guardò e rise: “io non l’ho mai vinto…”».
Quindi aiuto zero…
«La sua fu una risposta stupenda. Capii che tante cose potevano essere nuove».
E, cinque anni dopo, cos’ha capito?
«Che c’è da amarsi e prendersi cura, avere vicino persone che ti vogliono bene. Da solo non puoi, il mondo chiede troppo».