25 novembre 2015
In morte di Topazia Alliata
Paolo Conti sul Corriere della Sera
È morta a 102 anni Topazia Alliata di Villafranca, madre di Dacia Maraini e vedova di Fosco Maraini. Fu pittrice, scrittrice, animatrice culturale e viaggiatrice al fianco di suo marito. Se n’è andata serenamente nel pomeriggio di lunedì 23, lo ha annunciato la sua famiglia. Topazia Alliata appartiene a quelle figure del Novecento italiano che affondavano le loro radici nella grande aristocrazia (tracce della famiglia si ritrovano nel 530 a Milano, col vescovo Dacio Agliati) ma navigavano nella modernità respirando cultura e cosmopolitismo.
Topazia Alliata era figlia di Enrico Alliata di Villafranca, duca di Salaparuta e proprietario delle cantine di Casteldaccia, dove si produceva il vino Corvo. Topazia viaggiò presto, con sua madre a Parigi nel 1931 conobbe Paul Guillaume, gallerista e collezionista, Pi casso, Modigliani, Picabia. Era pronto il matrimonio con un nobile britannico ma lei invece sposò nel 1935 Fosco Maraini, ai tempi sconosciuto studioso, che sarebbe diventato uno dei massimi antropologi del Novecento. Con lui si trasferì in Giappone con le figlie Dacia, Toni e Yuki. I Maraini vennero imprigionati in un campo di concentramento alla periferia di Nagoya perché, dopo l’8 settembre 1943, si rifiutarono di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò. Conobbero a lungo anche la fame.
Al ritorno in Italia, Topazia si trasferì nella grande residenza di famiglia di villa Valguarnera a Bagheria (dove Dacia Maraini poi ambientò il suo libro Bagheria ). Dopo aver fondato il marchio vinicolo «Colomba platino», e alla morte del padre, Topazia Alliata vendette l’azienda vinicola e si trasferì a Roma proseguendo la sua attività di pittrice e fondando la galleria Topazia Alliata a Trastevere.
Fu amica di pittori e intellettuali, primo tra tutti Renato Guttuso, che da giovane si innamorò di lei ai tempi dell’Accademia di Belle arti. Nel 2014 firmò per Rizzoli il libro fotografico di memorie e di racconti Love holidays. Quaderni d’amore e di viaggi, con tutti i ricordi del suo passato corredati da splendide immagini. Un autentico viaggio nel Novecento visto con gli occhi di due vivacissimi intellettuali, famosi ai loro tempi anche per la loro straordinaria bellezza fisica. Gli occhi verdi di Topazia Alliata erano famosi, così come appaiono in diversi ritratti. Un mondo scomparso che si ritrova immediato, vivo e attuale in quelle pagine. I funerali oggi a Roma alle 11 nella basilica di Santa Maria del Popolo. Domani il suo corpo verrà sepolto a Casteldaccia, dopo un commiato nella sala del Comune. Un ritorno alle origini, alle radici, a una storia familiare mai dimenticata.
Aveva da poco compiuto 102 anni Topazia Alliata di Villafranca, la madre di Dacia Maraini, scomparsa a Roma ieri notte. A chi l’aveva intervistata in occasione del suo penultimo compleanno, che festeggiava con la pubblicazione di un delizioso libro di memorie, aveva detto: «Ancora adesso ho il bisogno di sentirmi libera. Non le dico quando ero giovane: la libertà era la scossa elettrica».
Nel libro, “Love Holiday, quaderni d’amore e di viaggi” c’erano tutti i ricordi e le splendide immagini del suo passato, visto attraverso lo specchio di un amore profondo e spregiudicato, quello vissuto da Topazia e da Fosco Maraini. Topazia era nata a Palermo da un’antichissima famiglia siciliana figlia del Principe Enrico Alliata di Salaparuta, creatore dei vini Corvo. Ragazza ribelle, ma dolcissima, dipingeva con mano sicura e originale. Frequentava i migliori intellettuali, fra cui Renato Guttuso, che era innamorato di lei, Nino Franchina, il poeta Ignazio Buttitta, passava le notti in treno per recarsi a Parigi dove fu amica di Paul Guillaume, gallerista e collezionista, Picasso, Modigliani, Picabia.
Topazia, detta Topsy, «refrattaria a tutte le regole e a tutte le tradizioni» si era subito sentita attratta da quel giovanotto “dalla faccia un po’ mongola, gli occhi stellati” che percorreva l’Italia in motocicletta. Intellettuali entrambi, belli, affascinanti, eleganti, anticonformisti, provenienti da ambienti familiari ricchi di stimoli culturali, il futuro etnologo, orientalista, alpinista, fotografo e scrittore e la futura pittrice avevano intrapreso una serie di viaggi attraverso il Belpaese “alternando le descrizioni dei paesaggi alle lettere che si scrivevano, ai pensieri che salivano improvvisi alla mente”.
I quaderni sono la testimonianza commovente, ilare, sorpresa, di un grande amore e di una “scoppiettante invenzione lessicale” che accompagna le varie fasi di questo rapporto nascente e già proiettato nel futuro. E il futuro fu, dopo il matrimonio, il trasferimento in Giappone, «Fosco (disse Topazia in una conversazione con Antonio Gnoli) vinse una borsa di studio che richiedeva un lungo soggiorno in Giappone. Partimmo con la piccola Dacia per il nord del Giappone. Non sapevamo che quel viaggio avrebbe cambiato le nostre vite». Fosco ebbe l’incarico di studiare una popolazione del nord del Giappone, gli Ainu. Era la fine 1938. La famiglia Maraini passò il primo periodo a Hokkaido. «Furono anni intensi. Belli. A contatto con una cultura raffinatissima».
C’è un altro diario di Topazia, quello che Dacia ormai adulta ricevette dal padre Fosco, i quaderni scritti in quel periodo. Ne emerge una figura di donna colta e intelligente, acuta osservatrice ed anche madre premurosa e affettuosa nei piccoli eventi famigliari. Ed anche la scoperta del mondo orientale, di una cultura lontana e seducente che tanto ha inciso nella vita dei Maraini.
Il ricordo di quella esperienza si conclude con il tragico periodo trascorso in un campo di concentramento per i “traditori italiani”, dopo l’otto settembre. «Il governo giapponese chiese a me e a mio marito un giuramento di fedeltà alla Repubblica di Salò. Rifiutammo. Ci trattarono come spie al servizio del nemico. Fummo arrestati. Si aprì un incubo al quale non eravamo preparati». Quel suo quaderno a righe contiene anche un mannello di note e schegge quasi telegrafiche che, dal settembre 1943 all’ottobre 1944, raccontano dal vivo il penoso stillicidio della vita quotidiana nel lager. Ricordava ancora Topazia «ci misero in un edificio alla periferia di Nagoya. Eravamo un piccolo gruppo formato da una quindicina di italiani. Ci tolsero progressivamente il cibo. Ci ridussero alla fame. A volte erano i contadini a darci qualcosa da mangiare. Nelle torture che i poliziotti del campo avevano ideato c’era quella che non potevamo poggiare la schiena contro la spalliera, né contro il muro. Ci urlavano, ci colpivano con i loro bastoni. Mai ho visto tanto odio e ottusità». Tornata in Italia, Topazia Alliata visse nella monumentale villa di famiglia di Valguarnera per poi trasferirsi (dopo la separazione da Fosco) a Roma. Qui ha continuato la sua attività-+ di pittrice fondando nel 1959 a Trastevere la galleria d’arte con il suo nome, organizzando le prime mostre di Kounellis, Manzoni, Pascali.