La Stampa, 25 novembre 2015
Leonardo DiCaprio nel nuovo film di Iñárritu sarà l’esploratore del West, Hugh Glass: «Il suo desiderio di sopravvivere mi è stato di grande ispirazione, poi ogni sera me ne tornavo in albergo»
The Revenant è uno dei film più attesi della stagione (in Italia esce il 14 gennaio). Perché il regista è Alejandro Gonzalez Iñárritu, quello de Y Tu Mama Tambien, di Babel e di Birdman, il film-Oscar dell’anno scorso. Per il protagonista, Leonardo DiCaprio, che a 41 anni è oggi uno dei più efficaci interpreti delle angosce e delle paure del maschio contemporaneo. E poi perché c’è un film nel film: delle riprese di The Revenant, basato sulle reali e drammatiche avventure dell’esploratore Hugh Glass nel West del 1823, si parlava in termini leggendari prima ancora della presentazione del film, avvenuta domenica a Los Angeles.
La decisione di filmare in sequenza e di usare solo luce naturale. Il freddo e la neve durante le riprese, avvenute per gran parte in Canada e un po’ in Argentina. I produttori e gli attori fuggiti perché le condizioni climatiche erano troppo pesanti e quelle di lavoro troppo tese. Le accuse dei sindacati sulla mancanza di sicurezza per attori e comparse. «Ho voluto creare prima di tutto un film spettacolare – spiega il regista – ma anche far riflettere sulla sopravvivenza. A volte si cade a terra, a volte si perdono i propri cari o si è attaccati da un nemico, si perde il lavoro. Ma non ci si deve mai arrendere».
Abbiamo intervistato Leo DiCaprio, che all’inizio della stagione dei premi è un’altra volta tra i candidati favoriti.
Siamo nel 1823, e il film è una battaglia per la sopravvivenza di due ore e mezzo in un Paese selvaggio e senza legge. Quale eco può avere questa storia oggi?
«È una parte della nostra Storia che non è documentata, in un territorio selvaggio dove francesi, inglesi, cacciatori di pelle e indigeni erano lotta tra loro per le stesse risorse. Abbiamo dovuto mettere assieme tutti questi pezzi, con al centro la storia di un uomo che sopravvive nella natura ostile. Ma dietro ci sono molte cose che riguardano noi oggi e che con Alejandro abbiamo discusso a lungo. Che sia in Canada o in Sudamerica o in Papua, il genocidio dei popoli indigeni e la distruzione delle culture continua e ha effetti devastanti. E se le riprese sono state così difficili è anche a causa dei cambiamenti climatici. Abbiamo girato nei dintorni di Calgary, in Canada, in luoghi dove avrebbe dovuto esserci neve per un altro mese e mezzo. Invece si era sciolta, abbiamo dovuto attraversare il mondo e andare in Argentina».
Si è mai trovato a lottare davvero per la sopravvivenza?
«Ho fatto molte cose estreme. Ho fatto immersioni in profondità. Ho fatto paracadutismo. Ma non posso paragonarmi a questi uomini. Il loro desiderio di sopravvivere mi è stato di grande ispirazione, anche se alla fine ogni sera me ne tornavo in albergo».
Ha avuto tanto dalla vita. Che cosa le resta? Che cosa vorrebbe ancora ottenere?
«Non intendo lamentarmi di niente perché lamentarsi nella mia situazione sarebbe rivoltante. Ma mi piacerebbe che non accadesse ciò che stiamo vedendo, una trasformazione del Pianeta a ritmi molto più celeri delle proiezioni scientifiche, e forse irreversibili. Se potessi esprimere un desiderio, sarebbe che alla conferenza sul clima a Parigi le nazioni si mettessero d’accordo per ridurre le temperature e porre fine a questa follia. Quello che è successo a Parigi venerdì 13 è una tragedia con la quale faremo i conti per anni. Una tragedia nella tragedia è che milioni di persone avrebbero dovuto scendere in strada per mettere pressione sui loro governi, e invece adesso tutto accadrà a porte chiuse».
Nel film è un padre, mosso all’azione dall’amore per il proprio figlio. Che ruolo ha giocato nella sua vita suo padre?
«Fondamentale. Mio padre mi ha insegnato a prendere rischi. Mi ha sempre detto: qualunque cosa fai, cerca di alzarti la mattina e di essere felice di infilarti i pantaloni. Non sono arrivato al 100% a quel risultato, ma mi sento grato per ciò che ho avuto. Per la carriera, ma soprattutto per le persone che mi circondano».