La Stampa, 22 novembre 2015
Sicuri che i monopoli nel settore tecnologico siano un danno?
Dicono che se ne vanno sempre i migliori. Ma certe volte se ne vanno anche i peggiori. Almeno quando si tratta di tecnologie obsolete come le cassette Betamax, che la Sony ha finalmente buttato nel cestino della storia.
A quarant’anni dall’esordio, e più di vent’anni dopo aver perso la battaglia con la rivale Vhs, l’azienda giapponese ha promesso di smettere di produrre Betamax dal marzo del 2016.
La decisione non è una sorpresa. La Betamax è uno dei tanti perdenti nel torneo a eliminazione dell’information technology e andrà ad accompagnare i dagherrotipi, le macchine per scrivere e i rullini fotografici negli archivi dell’invenzione umana.
Ma vale la pena riflettere sulle regole di questo campionato dell’It, l’Information Technology. A differenza di altre industrie, dove la concorrenza spietata crea innovazione e alternative per i consumatori, il progresso tecnologico sembra scaturire da una serie di monopoli che permette alle aziende di investire, agli azionisti di guadagnare e al pubblico di godersi servizi migliori a prezzi accettabili.
È una questione importante perché, in teoria, i monopoli non fanno bene all’economia e sono spesso attaccati da autorità antitrust come la Commissione Europea o il Dipartimento di Giustizia americano.
È possibile che, nel caso della tecnologia, si possa fare un’eccezione? Che, alla fin fine, noi consumatori vogliamo fare ricerche solo su Google, che non ci interessa avere un social network alternativo a Facebook e quando vogliamo dire una cosa al mondo non ci serve altro che Twitter?
Chi ha meno di 30 anni probabilmente non si ricorda o non sa delle battaglie del video, della rivalità tra la Sony e la Jvc nel campo delle cassette, del sospetto e dell’invidia per gli amici che avevano uno dei pochi videoregistratori Betamax. Oggi la Sony è un’azienda completamente diversa, la Jvc non c’è praticamente più e anche i video sono quasi scomparsi, soppiantati da Internet che permette a chiunque di vedere quello che vuole, quando vuole, dove vuole.
Ma il trend è lo stesso. Con Betamax e Vhs, la Sony e la Jvc provarono a conquistare un pezzo di monopolio nello stessa maniera in cui compagnie telefoniche, canali televisivi e produttori di software hanno sempre cercato di diventare indispensabili ai propri clienti – così indispensabili da rendere la concorrenza inutile.
La storia si sta ripetendo adesso, non nella telefonia o nei computer, ma con Internet, il settore dove la realtà virtuale incontra il mondo reale per centinaia di milioni di persone.
I giganti di oggi hanno il quasi-monopolio di aree distinte, ma limitrofe. Google domina la ricerca, Facebook il social network e la pubblicità sui telefonini, Amazon l’acquisto e il trasporto di merci online (e ha anche un’ottima posizione nella «cloud», la nuvola dei dati) e Apple i gadget. Ci sono, ovviamente, concorrenti in tutti questi campi, ma non sono forti abbastanza da influenzare la strategia e i prezzi dei grandi.
Bing, il motore di ricerca di Microsoft, ha il 20% del mercato americano ed è in crescita, ma Google rimane il leader indiscusso, soprattutto nel resto del mondo. Samsung prova a far la guerra ad Apple nei telefoni e nei computerini, ma è durissima, mentre Facebook, be’, Facebook non sembra avere rivali dopo la scomparsa di precursori quali Friendster e MySpace.
I risultati di questo potere di mercato sono incredibili. Nel mese di settembre, un miliardo e mezzo di persone si sono collegate al sito di Facebook per vivere le proprie vite e quelle di altri. Il titolo azionario di Facebook è a livelli-record, gli utili sono altissimi e l’azienda è valutata dai mercati circa 300 miliardi di dollari.
È una cosa positiva? Come ha scritto Tim Wu, un professore all’Università di Columbia a New York che ha studiato la storia dell’It – questi «info-monopoly» sono «buoni o eccezionali a breve termine, ma cattivi o terribili a lungo termine».
All’inizio – sostiene il professor Wu, le giovani aziende monopolistiche creano nuove esperienze e rendono la vita dei consumatori molto più semplice. Basti pensare a come ottenevamo informazioni prima dell’avvento di Google (mi ricordo ancora i polverosi volumi su cui io e mio padre andavamo a controllare l’età dei nostri attori preferiti). Gli utili generati da queste aziende senza rivali vengono reinvestiti nella ricerca e nello sviluppo o nell’acquisto di società e questo permette di continuare a migliorare l’offerta.
Non è un caso che questo periodo d’oro della tecnologia sia stato stimolato dall’ascesa di questi titani dell’industria, proprio come, un secolo fa, la nascita di At&T coincise con l’apoteosi del telefono fisso.
Ma la condivisione del benessere tra aziende, consumatori e lavoratori non è permanente. Dopo un po’, i monopolisti della tecnologia, come tutti i monopolisti, si preoccupano solo di proteggere la loro posizione privilegiata e smettono di inventare e innovare. Il professor Wu ha scritto di come, negli Anni 30, At&T soppresse la sua invenzione di un registratore magnetico per paura che avrebbe distrutto il telefono. E ci sono esempi molto più recenti, dal declino di Ibm dopo aver conquistato i computer, alla stasi tecnologica di Microsoft dopo aver raggiunto una posizione dominante nel software, al declino inesorabile dello stesso Vhs.
I regolatori, negli Usa, ma soprattutto in Europa, sono consapevoli dei pericoli d’info-monopoli che durano per molto tempo. Per ora, però, il punto di rottura non sembra imminente. In quasi tutti i campi dell’It, consumatori e aziende stanno traendo notevoli vantaggi dalla struttura quasi-monopolistica di questo settore.
Ma trarre vantaggi e avere una vita più facile grazie alla tecnologica non conferisce a nessuno il lusso di dimenticare le lezioni del passato. La metamorfosi degli info-monopoli – da attori benigni e pro-economici a zavorre pesanti sulla crescita – è una minaccia reale. A differenza delle cassette Betamax, questo pezzo di storia passata e futura non può essere cancellato.