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 2015  novembre 22 Domenica calendario

Morgan che è tornato a confessarsi in chiesa dopo vent’anni

Un uomo ben vestito con un cappellaccio nero da contadino entra di fretta in un bar. In mano ha uno skateboard blu. È Marco Castoldi, in arte Morgan, classe 1972. «Vuoi venire a vedere come funziona? È uno di quelli di nuova generazione». Sale sullo skateboard e con una serie di movimenti di rotazione del bacino e del busto corre veloce sul marciapiede.
Siamo a Monza, in un bar a poche centinaia di metri da casa sua. Tranquillità di una periferia: cielo grigio da copione autunnale lombardo, cemento, un bar come un altro, che niente ha di trendy. Non è il posto dove ti aspetteresti di trovare un personaggio che tutta l’Italia conosce, uno di quelli che “vanno in tv”. È subito un fiume in piena. «Stamattina ero in questo paesino in Puglia e sono passato davanti a una chiesa. Ho deciso di confessarmi. Era la prima volta da vent’anni». Mentre racconta, improvvisa arriva la fame: una pizza, presto! «C’era quest’uomo in mezzo alla chiesa che leggeva. Gli ho chiesto: sei il prete? Si è messo una stola, mi ha messo una mano in testa ed è rimasto così per un bel po’: doveva finire di leggere il Vangelo di Giovanni. Ma non andiamo nel confessionale? “No. Dimmi i peccati, anche quelli involontari”. Gli ho detto che sono sempre stato ferventemente ateo ma che in questo momento sento il bisogno di un riavvicinamento alla spiritualità e che pur non credendo ho sempre sofferto per la figura di Cristo perché era stato ingiustamente punito. Mi ha interrotto e mi ha detto:”Questo è un buon pensiero. Tu vuoi sollevare Cristo: fallo dentro di te ogni volta che senti nascere qualcosa che non è buono”. Ha colto il mio bisogno». Ma l’assoluzione poi è arrivata? «Un’Ave Maria, l’abbiamo detta insieme e io ho anche sbagliato l’inizio». Molta acqua è passata sotto i ponti da quando con i Bluvertigo cantavate
L’eretico
e litigaste con Monsignor Tonini da Red Ronnie… «Tonini era un uomo coltissimo, incaricato della comunicazione presso i giovani: lui ha avuto decisamente la meglio. Citava Foucault, un espediente massimo di retorica: usare l’argomento che avrei dovuto usare io, contro di me, l’avversario. Non avevo speranza». I Bluvertigo hanno sempre citato riferimenti esoterici. Non a caso i loro primi tre album si intitolano rispettivamente Acidi e basi, Metallo non metallo e Zero e compongono quella che loro stessi definivano come una “trilogia alchemica”. «La spiritualità è qualcosa di magico, il materialista non la può comprendere ma se la si accoglie è ispirante. C’è un momento, dice Bertrand Russell, in cui finisce la conoscenza e inizia la fede: se quest’ultima ti è stata inculcata ne sei schiavo ma se è una libera scoperta allora può coesistere»..
La pizza è arrivata: non è niente di che ma invece Morgan inizia a sbocconcellarla con un certo piacere. «Anche la musica è un mistero. Partiamo dalla classica che dopo tanto tempo sono ritornato ad affrontare: sto per far uscire il primo volume de Il classico Morgan – Morgan suona Bach, Volume I, Le suite inglesi. La reinterpreto in un modo che al conservatorio non avrei mai potuto: il Preludio per esempio è un sirtaki, l’Allemanda una bossanova, la Bourrée è techno!». Con grande fiducia dal momento che si tratta di un inedito, prende un disco dalla borsa e me lo porge. «Ascoltalo: è l’unica copia. Poi mi dirai». Ma a che età Morgan ha incominciato con la musica? «A due anni quando mia mamma metteva su un disco smettevo di piangere. A sei anni la prima chitarra, ma non ho imparato subito perché ero mancino. Bisogna tener duro nonostante le delusioni, è faticoso ma i premi sono grandi: si diventa persone realizzate. La conoscenza armonica è importante: molti dei nostri musicisti sanno fare solo quattro accordi e magari pure banali». Non bisogna aver paura di essere diversi. «Pensa che da piccolo io parlavo in via quasi esclusiva con un ragazzo sordomuto: mi hanno portato all’ospedale per fare dei controlli. Risultato: forse ero problematico, ma avevo anche un quoziente intellettivo superiore alla media». Il suo papà ha messo fine alla sua vita quando era giovane. «Già. Anche lui era problematico. Però molto buono. Io avevo sedici anni e mia sorella Roberta diciassette: un’età del cazzo perché quello è proprio il momento in cui la mamma smette di essere affascinante e scopri il papà. Come dice Luigi Zoja ne Il gesto di Ettore, la mamma porta il figlio dentro di sé ma il papà lo butta nel mondo. Ecco, nostro papà è venuto a mancare proprio nel momento in cui serviva».
Stappa una lattina di Coca Cola. «Devo fumare una sigaretta. Andiamo fuori». Usciti, Morgan confida: «Non ti nego una cosa: sono distrutto. Devo andare a casa, dormire, farmi una doccia. Vediamoci domani». Parto, dico, e poi abbiamo quasi finito. Andiamo a casa tua. «No, no, no, non è presentabile. Domani. Oppure vengo io a Roma, da Massimo Ranieri con cui devo fare una trasmissione: colgo l’occasione». Rientriamo. Morgan si dimentica di essere stanco. «Io sarò un po’ disordinato ma sono uno stakanovista, non seguo i ritmi comuni. Poi però magari vado in certi ambienti e non hanno uno straccio di idea». Cosa è successo a X Factor? È stata una sorta di estromissione? «Hanno avuto paura della verità. Non sono una persona che indora le pillole e questo non piace. Però sono nel Guinness dei primati come il più grande vincitore di talent show al mondo. Ne ho vinti cinque su sette e gli artisti con cui ho vinto io sono gli unici che sono rimasti al di là del talent: Marco Mengoni, Noemi, Antonio Maggio, i Cluster. Il fatto che a me poi invece non interessi usare il canone del pop e preferisca cose più complesse è una mia scelta. Lo faccio perché posso». Morgan viene dalla scena indipendente di gruppi come gli Afterhours o Verdena ma si è prestato alla tv generalista. «Andare in diretta tv è come fare jazz. Non è una cosa facile: io sono capace. Ho interpretato X Factor come una condivisione di conoscenza ma non tutti amano spendersi, mettersi in gioco». Ma c’è un copione? «No, non c’è: c’è un format. I tempi più belli infatti sono stati i primi con Simona Ventura e Mara Maionchi perché era un Far West». Si interrompe per chiedere un gelato: «Lo vuoi anche tu? Massì dai che sono gli ultimi, quando fa freddo non è che hai voglia di mangiare il gelato!». Eravamo a X Factor. «Ecco, siccome non si sapeva bene come farlo l’abbiamo fatto come ci pareva. Oggi
ogni tanto uno mi veniva a dire: “bisogna fare così”. L’avevo fatto così io l’anno prima a istinto e adesso ecco che era diventata una regola, ma io alle regole non ci sto, le cose devono andare sempre avanti altrimenti si perde mordente». Tra i grandi amici di Morgan da sempre c’è Battiato. «Una volta venne a trovarci a Montreux mentre stavamo incidendo
Zero
e passammo con lui due giorni meravigliosi in cui ci insegnò tantissimo. Io, poi, sono sempre alla ricerca di un padre. Ci portò a un ristorante mediorientale, ordinava in arabo. Noi però, non so come, siamo riusciti a portarlo da McDonald’s: non c’era mai stato. Gli abbiamo fatto assaggiare le patatine col ketchup. All’inizio era sospettoso, prende la patatina la intinge nel ketchup: “Ragazzi, è buonissima! Che cosa mi sono perso!”». A proposito dei Bluvertigo: adesso rinascono, c’è un disco nuovo previsto per febbraio. «Sì, perché oggi ha senso. Quello degli anni Novanta è stato un laboratorio di idee fantastico. Facevamo tutto: dalla copertina al progetto luci. Ora che nella musica si respira un po’ di aria stantia è un sacrilegio buttare via quell’esperienza, una band è come una famiglia e ci si può ritrovare. I Bluvertigo sono miei fratelli, i miei simili: il prossimo disco si intitolerà
Tuono – Tono, Tempo, Suono
e sarà un caleidoscopio di idee, un’esplosione di combinazioni. Non vogliamo celebrare il passato ma fare una cosa che non c’è». Al nostro tavolo arriva un tipo in tuta: «Tu chi sei? Ah sei Morgan. Adesso facciamo una foto», dice con tono minaccioso. Non ci mollerà più. Due cose colpiscono. Una: tutta Italia conosce Morgan ma lui sembra non rendersene conto. Vive in un mondo suo. Due: è un insieme di opposti. È al tempo stesso arguto e ingenuo, astuto e empireo, vicino e lontano, talentuoso e dissipatore. Paradossalmente non sembra fregargli assolutamente nulla né del denaro né della fama. Però sa come funziona. È “l’uomo che cadde sulla terra” di David Bowie e l’alieno Ziggy Stardust e c’è, naturalmente, anche un po’ di Kurt Cobain. Se ne va con lo skateboard quasi senza salutare. Un’ombra scura che si fa sempre più lontana, zigzagando nella notte.