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 2015  novembre 22 Domenica calendario

Breve storia della Marsigliese

Strana storia quella della Marsigliese, strana e avventurosa come del resto s’addice a un inno, considerato giustamente tra i più belli, nato in un periodo drammatico e oggi tornato drammaticamente d’attualità e cantato ovunque.
Gli inni russo e americano sono più solenni, quello tedesco deve la sua melodia a Joseph Haydn, quello europeo è un adattamento dell’Inno alla Gioia di Beethoven, quello italiano ha versetti scritti da un ragazzo di nemmeno vent’anni poi morto nella difesa della Repubblica romana del 1849. E quello francese? La Marsigliese deve parole e musica – salvo il possibile equivoco che vedremo più tardi – a un ufficialetto di guarnigione a Strasburgo in Alsazia. Il sindaco della città – più volte contesa tra Francia e Germania, oggi una delle sedi del parlamento europeo – chiese a Claude Joseph Rouget de Lisle, capitano del genio, di scrivere un inno guerresco per l’armata del Reno. Era il 1792 e la Francia rivoluzionaria aveva appena dichiarato guerra al re di Boemia e d’Ungheria. Il capitano si mise al piano e, vuole la leggenda, buttò giù la trascinante melodia in poche ore: ritmo di 4/4 “alla marcia”, facile tonalità di sol maggiore. Versetti così pieni di ardore bellico da risultare ancora oggi molto violenti. Già nella prima strofa, dopo le parole che tutti conoscono (“Allons enfants de la Patrie/ Le jour de gloire est arrivé!”), il tono cambia: “Non sentite nelle nostre campagne muggire questi feroci soldati? Arrivano fino alle vostre braccia per sgozzare i vostri figli e le vostre compagne”.
Da questo incubo l’invito del ritornello: “Aux armes citoyens/ Formez vos bataillons/ Marchons, marchons/ Qu’un sang impur/ Abreuve nos sillons”: ovvero “che un sangue impuro imbeva i nostri solchi”.
La storia dell’inno però era solo cominciata nella notte alsaziana. François Mireur, volontario in un battaglione dell’Hérault, riesce ad avere una copia del canto e alla fine di un banchetto che si tiene nella vicina Marsiglia comincia a cantarlo subito imitato dal coro dei presenti. Quando i battaglioni marsigliesi, agli ordini di un certo Barbaroux, si mettono in marcia verso Parigi cominciano anche loro a intonare quelle note gagliarde che alleviano la fatica del cammino e animano gli incontri di villaggio in villaggio. Scriverà Barbaroux nelle memorie: «Ricordo con tenerezza che all’ultima strofa dell’inno, quando si canta l’amore sacro per la patria, tutti i presenti si misero in ginocchio. Io mi trovavo in piedi su una sedia: Dio, che spettacolo, gli occhi mi si empirono di lacrime». Giunti a Parigi (luglio 1792), alla fine della loro lunga marcia attraverso la Francia, i reggimenti dei marsigliesi riprendono ovviamente a cantare a gran voce. Il periodico La Chronique de Paris scrive: «Cantano con un possente insieme; il momento in cui agitano i loro berretti e le sciabole gridando tutti a gran voce “Aux armes, citoyens!” mette veramente i brividi». Brividi di tale intensità da far dimenticare l’originaria destinazione dell’inno: l’armata del Reno è cancellata, tutti ormai parlano di Marsigliese diventata una specie di Te Deum laico, come dimostra un particolare episodio. Il generale Kellermann era riuscito a fermare a Valmy (a est di Parigi) l’armata prussiana diretta verso la capitale. Rientrato in città chiede al ministro della guerra di far eseguire un Te Deum di ringraziamento. Il ministro – Joseph Marie Servan de Gerbey – risponde che non è più aria di Te Deum, bisogna far eseguire qualcosa che risponda meglio allo spirito dei tempi. Aggiunge: «La autorizzo, generale, a far cantare con la stessa solennità che avreste chiesto a un Te Deum l’inno dei marsigliesi».
La popolarità dell’inno, agevolata dalla trascinante melodia, cresce velocemente. Poche settimane dopo l’esecuzione alla maniera di un Te Deum, siamo nell’ottobre 1792, viene addirittura messa in scena da François-Joseph Gossec, buon musicista, autore tra l’altro di un apprezzabile Requiem. Il buon Gossec la inserisce in una composizione intitolata significativamente
Offertorio alla Libertà.
Molti altri compositori, se ne contano circa venti, sfrutteranno quella melodia. Hector Berlioz, per esempio, nel 1830 ne elabora una versione per soli doppio coro e orchestra. Partitura sontuosa ricca di colpi di timpano e rulli di tamburo. Alcune battute – siamo nel 1880 – vengono inserite da Pëtr Il’ic Cajkovskij nella sua Ouverture 1812 che celebra la fallita invasione della Russia da parte di Napoleone. Composizione resa molto fragorosa dall’inserimento in partitura di alcuni autentici colpi di cannone. Poi i Beatles ovviamente, che con le note di questo inno aprono la loro All You Need is Love; e il film Casablanca in una delle sue scene più intense, con i patrioti francesi che sfidano gli ufficiali nazisti cantando a piena gola il loro inno. Sempre la Marsigliese risuona in sottofondo, per così dire, nel famoso dipinto di Delacroix La liberté guidant le peuple che celebra la rivoluzione del luglio 1830 che mise sul trono Luigi Filippo.
La Marsigliese è stata dichiarata inno nazionale due o tre volte seguendo le convulsioni e i tumulti della politica. Una prima volta nel luglio 1795, ma con Napoleone viene abolita salvo essere riammessa dopo la rivoluzione del 1830. Di nuovo abolita durante il Secondo impero, nuovamente ammessa dal 1876; ancora una volta abolita nella Francia occupata dai nazisti, riconfermata come inno nazionale nel 1946, poi nel 1958 con la V repubblica disegnata da de Gaulle.
Al termine di queste complesse vicende resta una domanda di tipo musicale: il capitano Rouget de Lisle quella notte inventò davvero da solo la melodia? Il dubbio s’è affacciato più volte. Il gagliardo motivo affiora nel secondo tema del primo movimento del Concerto per piano e orchestra n. 25 K503 di Mozart (1786). Si può ascoltare tale e quale nel brano Tema e variazioni in do maggiore del compositore piemontese Giovan Battista Viotti datato 1781, dunque di ben undici anni anteriore a quella notte del 1792. La questione non è stata mai completamente risolta, e i francesi ovviamente negano. Resta che il capitano quella partitura non la firmò, al contrario di quanto faceva di solito. L’idea che l’inno dei cugini d’Oltralpe sia un dono “Made in Italy” è affascinante. Basta andare su YouTube e confrontare.