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 2015  novembre 22 Domenica calendario

Dopo dieci anni di potere la Merkel si scopre vulnerabile

Esattamente dieci anni fa, il 22 novembre del 2005, Angela Merkel venne eletta Cancelliera della Repubblica federale tedesca. Allora sembrò un evento legato ad un insieme di contingenti casualità, come la vittoria sul filo di lana della Cdu sulla Spd guidata da Gerhard Schröder.
Successivamente, si è rivelato invece l’inizio di un ciclo politico che ha cambiato la storia tedesca e segnato il destino d’Europa. Nel corso di questi anni, infatti, quella che Helmut Kohl, il Cancelliere della riunificazione tedesca, definiva affettuosamente “la ragazza” – ma che da questa venne senza alcun riguardo costretto a uscire di scena perché coinvolto in uno scandalo di fondi neri al partito – si è trasformata nella donna «più potente del Vecchio Continente» (The Economist). È diventata colei che alza la cornetta quando, per usare le notissime e ironiche parole di Henry Kissinger, qualcuno prova a “chiamare al telefono l’Europa”. Secondo una indagine d’opinione pubblicata qualche giorno fa dall’istituto di Allensbach alla vigilia della ricorrenza della nomina alla massima carica politica del paese, la prima volta di una donna nella storia tedesca, la Cancelliera “venuta dall’est” appare ai suoi concittadini, nonostante tutto, «senza alternative». E questo anche se a causa della crisi provocata dall’enorme arrivo di profughi – ben 900mila dall’inizio dell’anno – la sua popolarità ha nelle ultime settimane conosciuto una forte flessione. E dieci anni rappresentano per la politica, nell’epoca della postmodernità globale, una dimensione temporale abnorme capace di consumare anche la più sofisticata leadership.
Per questo quello della Merkel è diventato un vero e proprio “case study” per politologi e massmediologi che ormai da tempo si stanno interrogando sul suo carisma anticarismatico, sulla natura di un modo di fare politica senza grandi concessioni alla mozione degli affetti e di una guida della cosa pubblica lontana da qualsiasi tentazione di uso clientelare del potere per ottenere consenso. E così quella che a prima vista è sembrata una sorta di leadership senza qualità ha costruito la propria legittimità su un vero e proprio antipopulismo sistematico. E su un pragmatismo politico duttile. Questo non vuol dire affatto che Angela Merkel sia un “angelo” caduto nell’inferno della politica o che non abbia senso e gusto del potere. Anzi: ed è questo che più sconcerta gli analisti, la Merkel possiede un naturale talento nel rovesciare a proprio favore anche le situazioni a lei più sfavorevoli. E in tre legislature segnate da differenti alleanze di governo, di errori Angela Merkel ne ha commessi non pochi.
Dal 2005 al 2009 guidò una “grosse Koalition” con la Spd dopo essersi presentata in campagna elettorale all’insegna di un duro liberismo fiscale ed economico. E fu proprio grazie all’azione dei ministri socialdemocratici e alle riforme realizzate dal precedente governo rosso-verde guidato da Schröder che la Germania fu in grado di attraversare meglio di altri paesi europei la grande crisi economica scoppiata nel 2007. E per questo alle elezioni del 2009 la Merkel vinse nuovamente e diede vita ad un governo con i liberali che pagarono molto duramente alle successive elezioni del 2013 i tagli imposti al Welfare e la Cdu sempre guidata dalla Merkel sfiorò addirittura la maggioranza assoluta. Con una Spd inchiodata attorno al 26/27 per cento Angela Merkel ha formato di nuovo una “grande coalizione” godendo di un indice di consenso popolare talmente alto che qualche dirigente socialdemocratico tra il serio e lo scherzoso ha suggerito alla Spd di non presentare un proprio candidato.
Poi, come spesso ama fare, la storia ha voltato drammaticamente pagina. E lo stesso ha fatto anche Angela Merkel: lei nota per la sua spasmodica attenzione a non perdere il feeling che la lega al suo elettorato e ai sentimenti che agitano il profondo dell’animo della popolazione tedesca, lei personificazione per antonomasia dell’“etica della responsabilità” di Max Weber si è trasformata di colpo in testimone della politica guidata dall’”etica della convinzione”. Ha deciso con una scelta rischiosissima che ha sorpreso tutti di legare il suo destino politico all’accoglienza senza limiti prefissati dei profughi in fuga dai massacri mediorientali. Convinta che solo l’Europa e non i singoli Stati nazionali possano dare soluzione alle grandi sfide del mondo globale, la Merkel ha deciso, per usare una efficace formulazione del suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, «di difendere l’onore d’Europa».
L’iniziale entusiastico spirito di accoglienza si è lentamente raffreddato e ha lasciato campo in Germania ad un crescente malessere nella popolazione di cui si sono fatti portavoce esponenti politici e parlamentari della Cdu. Qualcuno ha osato persino mettere apertamente in discussione la politica della Cancelliera, spingendosi a chiederne le dimissioni. Ancora una volta, sia pure a fatica, Angela Merkel è riuscita a fare fronte agli attacchi provenienti in particolar modo dalla Csu, il “partito fratello” bavarese. Ma il massacro di Parigi e l’attacco terroristico portato all’Europa potrebbero rivelarsi fatali anche per una politica del calibro di Merkel: la decisione francese di dichiarare unilateralmente lo “stato di guerra” e di rivendicare i diritti di una “sovranità nazionale” che scardina la ‘teologia politica’ del processo di costruzione europeo pongono Merkel e la Germania ma anche gli altri paesi europei dinnanzi ad un dilemma esistenziale che non lascia presagire nulla di buono. Mercoledì prossimo la Cancelliera tedesca andrà a Parigi per incontrare Hollande. Vedremo se al di là delle parole di circostanza e di solidarietà sarà possibile riannodare il filo di un discorso franco-tedesco senza il quale non è possibile alcuna prospettiva europeista.