Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  novembre 22 Domenica calendario

Non serve un nuovo tecnico per la spending review, serve un piano

Fuori quattro! Perotti, il “commissario” alla spending review, si è appena dimesso: il quarto in quattro anni. Erano tutti professionisti seri e competenti, ma è l’idea del commissario che è sbagliata: non serve un tecnico che individui la soluzione per un governante illuminato, perché quello della spesa pubblica è un problema politico. Per la stessa ragione non condivido lo slogan di facile presa per il quale questa sarebbe l’ennesima vittoria della “casta”.
Spending review, o “lotta agli sprechi” nella vulgata quotidiana, è un eufemismo per “tagli della spesa pubblica”: un termine da evitare perché l’intervento dello Stato nella vita economica degli italiani è così pervasivo da aver generato una vera dipendenza dal pubblico degli individui, imprese e associazioni. La spesa della Pubblica Amministrazione assorbe ormai più del 50% del Pil: una quota ingente, superata in Europa solo dai paesi scandinavi e dalla Francia; Germania, Spagna, Gran Bretagna si collocano tra il 44% e il 46%; Giappone, Usa, o Australia ancora più in basso. E dal 2000 al 2013, anche al netto degli interessi, la spesa è cresciuta di 6 punti percentuali sul Pil: in media è stata di 15.239 euro per ogni italiano.
Questi dati includono la sola Pubblica Amministrazione, sottosti-mando così enormemente l’ingerenza dello Stato nella nostra vita economica: non tiene conto delle tante aziende a controllo pubblico, come Cassa DDPP, Ferrovie, Poste, Enel o ex-municipalizzate, e della giungla di concessioni, permessi, autorizzazioni, sussidi, detrazioni, incentivi, deduzioni, contributi, che quotidianamente incidono, anche indirettamente, sul reddito di ognuno di noi.
Quello che per me è spreco, per un altro è reddito: l’accorpamento di un tribunale o di un ospedale di un piccolo centro con uno più grande limitrofo migliora l’efficienza e riduce la spesa, ma riduce anche il reddito di quella località; il sussidio o l’ente o l’infrastruttura inutile sono reddito per chi ci lavora. Così, caste e sprechi sono sempre quelli degli altri. Ogni taglio (o review) della spesa, ogni intervento pubblico (lotta agli sprechi) è quindi una redistribuzione del reddito a discapito di qualcuno. E questo qualcuno trova facilmente alleati per opporvisi, perché se si comincia a toccare un interesse particolare, prima o poi tocca agli altri.
La “lotta agli sprechi” incontra unanime approvazione, ma è di facciata: gli italiani sono talmente dipendenti dallo Stato che non ci potrà mai essere una maggioranza dell’opinione pubblica realmente favorevole ai tagli di spesa. Dunque, una soluzione può essere solo politica, ma non potrà essere trovata finché i governi dovranno contare su maggioranze rabberciate, coalizioni e compromessi. Neppure i governi tecnici, imposti dall’Europa, ci sono riusciti: le crisi finanziarie del 1992-93, del 2011-12, e l’ingresso nell’euro, sono stati affrontati prevalentemente con aumenti delle imposte, non tagli di spesa. Non serve un commissario, ma una strategia politica di lungo periodo che agisca in tre direzioni.
1) Separare il più possibile il servizio pubblico (quale, come e a che costo debba essere erogato), affidando la gestione a regole privatistiche: la “privatizzazione” ha migliorato luce, poste, ferrovie, telefoni; le tratte autostradali sono migliori delle strade dell’Anas; a parità di costi, sanità, educazione, aeroporti privati sono quasi sempre migliori di quella pubblici; Mediaset e Sky sono più efficienti della Rai. Il privato non è una panacea, ma aiuta. Ed è l’unica strada efficace seguita (per quanto a sprazzi) finora. Va perseguita con maggior decisione.
2) Sprechi ed efficienza si eliminano con un’amministrazione pubblica nella quale carriere e stipendi dipendono dal merito, flessibilità e mobilità sono quelle del mercato del lavoro privato, e le decisioni di assunzione, promozione e licenziamento sono decentrati al livello più efficiente (singola scuola o provveditorato, singolo ospedale o tribunale o ente locale): ci vorrebbe un vero Jobs Act per il settore pubblico.
3) Eliminare sia le duplicazioni e sovrapposizioni nelle decisioni di spesa, che creano un intreccio incomprensibile tra enti locali e Stato, sia la separazione tra chi ha il potere di spesa e chi di tassazione. L’applicazione rigorosa del principio di sussidiarietà, e la chiara responsabilizzazione di fronte all’opinione pubblica di ogni decisione di spesa sarebbero la vera riforma costituzionale che ci serve.