Amica, 24 novembre 2015
Tutti i diamanti portano ad Anversa
Tutti i diamanti portano ad Anversa. Non è la città più glamour del pianeta, ma senza dubbio è la più brillante. L’87 per cento di tutte le pietre grezze esistenti al mondo e il 50 di quelle lucidate sono comprate, lavorate e vendute nella città fiamminga. Solo nel 2014, da qui sono passati 227 milioni di carati, il che vuol dire un giro d’affari di 52 miliardi di dollari. Il business, che rappresenta l’8 per cento del prodotto nazionale lordo del Belgio, dà lavoro a 30mila persone, indotto compreso, lo stesso numero di occupazione che genera lo scalo aeroportuale di Fiumicino. Quasi tutto avviene in un’area di due chilometri quadrati e mezzo, il Diamond District, sorvegliato 24 ore su 24 da telecamere, polizia e militari. Una sicurezza imponente che, tuttavia, non ha evitato in passato furti spettacolari come quello raccontato nel film The Italian Job. Camminare in queste due vie chiuse al traffico è come fare il giro della Terra in una ventina di minuti. È un melting pot di ebrei sefarditi (dei circa 20mila di Anversa, il 25 per cento opera nei diamanti), indiani, libanesi, russi e angolani. Ma non è una questione di popoli perché, come si dice da queste parti, “Here we talk diamonds”. A parte la sinagoga, qualche chiosco di cibo kosher e take away vegetarian Masala, nel quartiere ogni attività commerciale è collegata alle pietre luccicanti: infatti, a differenza di quelli a Mumbai, Tel Aviv e New York, il Diamond District di Anversa è l’unico al mondo dove non esistono abitazioni private.
Nei blindatissimi palazzi hanno sede più di 400 laboratori di tagliatori e lucidatori, importanti società minerarie, negozi specializzati nella vendita di kit gemmologici per ogni tasca, e decine di agenzie viaggi per chi si sposta da un continente all’altro, sempre in cerca della pietra e del cliente perfetto. Tutto avviene a porte chiuse e sempre più per via telematica, ma capita ancora di assistere alla settecentesca maniera di fare contrattazione per strada: due uomini che si passano tra le mani le cosiddette “partijbriefje”, buste di carta che celano porzioni di diamante. Il compratore vi scrive sopra la data e l’offerta. E prima che la negoziazione si concluda, la busta fa avanti e indietro più volte. Se l’affare va in porto, basta una stretta di mano e l’ormai internazionale espressione ebraica “mazel tov” (buona fortuna), che si sente ripetere con ogni accento del globo. Dopotutto, in questo settore ciò che conta è la fiducia. Nel Diamond District c’è anche una della Borse dei Diamanti di Anversa (in totale sono quattro), la Beurs voor Diamanthandel, il cui codice di condotta ha fatto da modello per le altre 26 nel resto del mondo. Fondata nel 1904 per dare sede stabile ai commercianti che fino ad allora trattavano nei caffè nei dintorni della stazione, è la più antica della città e anche quella che offre la luce ottimale per la valutazione delle pietre, grazie alle larghe vetrate della sala scambi. «Per diventare uno degli operatori registrati, bisogna seguire una trafila lunghissima, ma soprattutto occorre avere una fedina penale immacolata», spiega Raju Gehani, uno dei 1.200 membri della Borsa, mentre indica una bacheca con qualche fototessera appesa. «Rappresentano i trader che hanno fatto richiesta di ammissione, rimangono esposte per quattro settimane, durante le quali ognuno degli altri componenti può anche decidere la bocciatura». Il Diamond District è anche il fiore all’occhiello dell’ufficio del Turismo, che organizza la Diamond Walk per voyeur attratti dal dietro le quinte e percorsi da seguire, meno scientifici e più frivoli, con la Diamond Map che segnala le “haute joaillerie” della città (le più prestigiose sono in Vestingstraat, perennemente affollate sette giorni su sette). Non sorprende, i tagliatori di Anversa hanno fama di essere i migliori al mondo, i più bravi guadagnano fino a 10mila euro al mese: «Il taglio è considerato una vera arte, l’abilità sta nell’ottenere il diamante dalle proporzioni perfette», spiega Deborah Pienica, direttore operativo dell’International Gemological Institute, una delle più autorevoli istituzioni di Anversa che validano le famose quattro C dei diamanti: color (colore), clarity (purezza), carat (peso) e cut (taglio).
In questo laboratorio, cinque giorni a settimana una ventina di persone analizza con microscopio e sofisticati programmi informatici ogni singolo diamante e ne descrive le caratteristiche. Dopo sette giorni, la carta d’identità della pietra è pronta, un dettagliatissimo certificato che ne conferma il valore al proprietario e ai futuri clienti: «Ci arrivano diamanti da tutto il mondo, e la bizzarria non ha limiti. Dallo stilista che ci porta una limited edition di stivali incastonati di brillanti, a Paris Hilton che si presenta con una collezione di orologi e che pretende il nostro serioso certificato scientifico stampato su carta rigorosamente rosa shocking», aggiunge Pienica, che all’anulare porta un meraviglioso anello con un diamante grezzo («ha lo stesso valore, è difficile da trovare, ma non brilla, per cui c’è chi lo ama e c’è chi lo ignora»). Ancora più arduo è riconoscere quella che è considerata in assoluto la simmetria perfetta: un gioco concentrico di frecce, che trafiggono cuori, che è in grado di aumentarne la lucentezza fino a uno strabiliante 98 per cento. È il famoso taglio Hearts & Arrows, rappresenta solo l’uno per cento delle pietre in commercio, peccato che sia visibile solo con un apposito lentino. Chi non ha il privilegio di entrarne in possesso, può sempre accontentarsi del classico diamantino che pesa come un seme di carruba, 0,2 grammi, l’unità del carato. E quando si è disposti a spendere almeno 950 euro per un anello di fidanzamento, DiamondLand in Appelmansstraat, il più glande showroom di diamanti del mondo, offre un romantico weekend in una suite da sogno, con tanto di “diamond concierge” a disposizione.