il Giornale, 24 novembre 2015
Il coraggio di parlare (male) in un libro di Nori
Era da tempo che aspettavo qualcuno che avesse il coraggio di parlar male del crowdfunding. Non potendo soffrire sia la parola, aliena e per me impronunciabile, sia la cosa, che ho sempre subodorato anti-artistica di per sé. Quel qualcuno è arrivato e si chiama Paolo Nori: «Se ci fosse stato il crowdfunding ai tempi di Kazimir Malevic, e Malevic avesse mandato una mail alla sua mailing list dicendo che voleva fare un quadro dove c’era un quadrato nero su fondo bianco, e che aveva bisogno di duemila euro, ecco probabilmente non avrebbe convinto molta gente, a finanziarlo». Si può essere contrari all’arte astratta ma condividere il ragionamento: l’artista che non voglia ridursi a copista deve produrre l’inedito, il mai visto, e pertanto alle masse non può piacere subito. Il crowdfunding significa appunto finanziamento-massa, soldi raccolti su internet presso una folla anonima, un fenomeno più sociale che artistico, qualcosa di appiattente, collettivistico e naturaliter grillino (infatti piace molto al sindaco di Parma Pizzarotti).
Nell’ultimo libro dello scrittore di Parma (ma per nulla grillino) si va oltre: «Quando uno comincia a scrivere, il fatto che tutto il tempo che dedica alla scrittura possa essere, forse, del tempo buttato via, ecco questo fatto per me era un fatto positivo, che dava, a quei tentativi, un carattere disperato del quale secondo me poteva esserci anche bisogno». Qui qualcuno si sta dichiarando a favore del rischio personale, della responsabilità personale, insomma della libertà personale: ma è Nori o un suo personaggio? Scoprire la differenza è un esercizio da Settimana Enigmistica. L’Ermanno Baistrocchi protagonista di Manuale pratico di giornalismo disinformato (Marcos y Marcos, pagg. 208, euro 15) è nato a Parma, vive a Casalecchio di Reno, fa lo scrittore-giornalista-editore e ha una figlia sulla quale ha scritto un libro. Mentre Paolo Nori è nato a Parma, vive a Casalecchio di Reno, fa lo scrittore-giornalista-editore e ha una figlia sulla quale ha scritto un libro. Siamo in piena autofiction, altra parola odiosa che Nori giustamente dileggia. Il titolo avrebbe potuto tranquillamente essereCatalogo delle mie insofferenze perché i corsi di giornalismo disinformato di cui si parla nel romanzo (è un romanzo, nelle ultime pagine addirittura un giallo) sono un pretesto surreale che svapora in fretta. E perché le insofferenze di Nori non sono soltanto sue ma anche di parecchi lettori (mie senz’altro). Ad esempio l’insofferenza verso i discorsi dei presidenti della Repubblica e nella fattispecie di Mattarella, dove «se c’era un saluto, era rispettoso, se c’era un pensiero, era deferente, se c’era un momento, era difficile, se c’era una carta, era fondamentale, se c’era un’unità, era nazionale, se c’era una prova, era dura, se c’era un’unione, era europea, se c’eran dei diritti, eran fondamentali, se c’era un popolo, era italiano, se c’era un bene, era comune, se c’era un garante, era della costituzione, se c’era un arbitro, era imparziale». L’inso
fferenza verso i politici e nella fattispecie verso i politici del Pd: «Mi avevan suonato alla porta due ragazzi per convincermi ad andare a votare per il candidato del Partito democratico e io gli avevo detto che c’era un requisito minimo, per ottenere il mio voto: non avere la faccia tosta di candidarsi. Uno che non si candida, potrei anche votarlo, gli avevo detto, uno che si candida no». L’insofferenza verso Sua Intoccabilità Roberto Saviano, «quello scrittore che era stato ucciso dalla camorra ma si vede che gli avevan sparato a salve, era sempre in televisione a parlare». Ci sono anche insofferenze più spicciole per le camicie button down, per il chiamarsi ragazzi fra persone di cinquanta o sessant’anni, per i negozi «Non solo qualcosa», le fiorerie «Non solo fiori», le macellerie «Non solo carne»... Mille insofferenze grandi e piccole che sfociano in una completa, dichiarata, asocialità: «Gli altri, a me, in generale, con rispetto parlando, mi stanno un po’ sui maroni». Sembra una frase del Misantropo di Molière però tradotta da Francesco Guccini, siccome l’italiano di Nori oltre che molto colloquiale (ma in quest’ultimo libro la sintassi è forse meno eterodossa che nei precedenti) è anche molto regionale ovverosia emiliano. Manuale pratico potrebbe essere visto come un elenco romanzato di idiosincrasie puramente personali, io invece in trasparenza ci leggo un metodo politico e intellettuale. «Se c’è un germe che ho coltivato per bene è il germe della bastiancontrarite» dice Nori. L’apota Prezzolini, se fosse nato a Parma e vissuto a Casalecchio di Reno, avrebbe scritto così.