il Giornale, 24 novembre 2015
Storia degli orologi notturni
Nihil sub sole novum, cioè niente di nuovo sotto il Sole, recita nella Bibbia il libro di Qohelet: anche in orologeria, molte idee che nel corso dell’ultimo secolo sono parse rivoluzionarie affondano, a ben guardare, le loro radici in un passato lontano. Molti ricorderanno, qualche anno fa, il successo del piccolo orologio digitale da tavolo che proiettava l’ora, prodotto da Oregon Scientific. Forse non tutti sanno però che tale idea risale alla Roma papalina del XVII secolo! Ecco, allora, la storia di un meraviglioso capitolo dell’antica orologeria italiana: forse l’ultimo in cui l’Italia fu veramente protagonista a livello europeo, prima di ritrovarsi per secoli sempre in posizione di retroguardia, pur con qualche notevole eccezione.
Parliamo, infatti, di una categoria di orologi domestici destinati a un’altissima committenza, i cosiddetti notturni, caratterizzati nella loro versione originale da due aspetti tecnici del tutto insoliti e da una struttura che li rende inconfondibili. In piena Controriforma, abbandonati i fasti del Barocco, la loro cassa è austera, con una caratteristica forma a tabernacolo, quasi sempre di colore nero. Tanta sobrietà è però spesso impreziosita da inserti in pietre dure o da bronzi dorati di pregevole fattura, che, uniti a dimensioni ragguardevoli, arrivano a conferire a qualche esemplare un aspetto principesco.
Il quadrante vero e proprio, posto al centro, in legno o più spesso in rame, è dipinto con soggetti religiosi o mitologici. La lunetta superiore, a forma di semicerchio, costituisce lo spazio dove scorrono, attraverso un artificio meccanico semplice, ma, geniale, dischetti di metallo opachi, in cui le cifre che indicano le ore sono traforate, una per dischetto. Un lume posto all’interno della cassa funge da sorgente luminosa, proiettando, con un gioco di lenti, l’immagine ingrandita della cifra sulla parete di fronte. Il disco relativo all’ora corrente percorre la lunetta nel corso dei sessanta minuti, per cui dalla sua posizione angolare è anche possibile valutare, se pur sommariamente, in quale porzione dell’ora ci si trovi. La loro storia è affascinante.
Siamo alla metà del XVII secolo, a Roma: da poco è salito al soglio pontificio, con il nome di Alessandro VII, il cardinale Fabio Chigi. Il Pontefice, grande diplomatico, soffre di una grave forma di insonnia, funestata dal ticchettio dell’orologio che vuole tenere accanto al letto. Sono quindi interpellati, attraverso il Camerlengo che aveva raccolto il desiderio del Santo Padre, due fratelli che in Roma già si sono messi in luce per le loro abilità quali meccanici ed inventori: Pier Tommaso e Giuseppe Campani. Viene loro richiesto di studiare un dispositivo, di qualsiasi tipo, che permetta al Pontefice di conoscere l’ora nottetempo senza accendere il lume e che non lo importuni con alcun rumore.
Gli abilissimi Campani, dopo lungo e attento studio, risolvono il problema del ticchettio, usando uno scappamento basato su una ruota compartimentata, azionata dal flusso di una massa di mercurio, recuperando invece l’idea delle ore su lamine da uno scritto del Padre Gesuita Mario Bettini, pubblicato meno di un decennio prima ed integrando il concetto, da poco diffuso nel mondo scientifico, della «lanterna magica» a proiezione.
Il prototipo viene consegnato nel 1656 e riscuote tale successo che il Pontefice vuole insignire gli autori di un Brevetto Papale, un titolo di protezione per gli autori contro il plagio.
Pur se tra mille difficoltà, dato che molti tentarono di rivendicare in tutto o in parte l’invenzione, e quasi altrettanti cercarono di copiarla, noncuranti del Privilegio, i Campani ben presto poterono annoverare tra la propria clientela regnanti e principi, divenendo famosi in tutta Europa.
Oggi i loro notturni, costituiscono l’orgoglio di alcune collezioni private, in Italia ed all’estero.