il Giornale, 24 novembre 2015
Amanti infelici come moglie e marito. All’inizio è bellissimo, la passione, l’emozione, fare sesso... ma alla fine anche le avventure clandestine sono condannate alla noia. È un problema senza soluzione. Bisognerebbe essere maestri del lasciare come Proust oppure arrangiarsi con YouPorn come Parente. Tutto questo in un libro di Da Silva
Per quanto si parli d’amore, non c’è niente di più noioso di una coppia felice (e annesso matrimonio, il cui invito è sempre una sciagura per chi lo riceve, almeno per me). Che poi non vengono neppure esempi nazionalpopolari di coppie felici: una volta c’erano Al Bano e Romina, un bicchiere di vino con un panino e la felicità, e è diventato un horror (la parte più divertente).
In generale gli amori altrui sono divertenti solo quando si lasciano, tanto più cruentemente meglio è, se si festeggiassero i divorzi chiunque vorrebbe partecipare alla festa. E in letteratura non ne parliamo: ve li immaginate Renzo e Lucia senza Don Rodrigo (più intrigante di Renzo, tra l’altro)? Charlus e Emma senza Rodolph e Léon? Gli unici amori che resistono sono quelli impossibili, ideali: l’amore di Dante per Beatrice, di Leopardi per Silvia, il mio per Sasha Grey.
Condizione diversa è l’amante, l’avventura clandestina, l’isola felice. Su cui le scrittrici danno il meglio del genere, ma in Italia il più bravo è Diego De Silva, altro che Chiara Gamberale o Federica Bosco, loro sono robetta da Harmony. De Silva è uno scienziato dei sentimenti. Il suo ultimo romanzo, Terapia di coppia per amanti, pubblicato da Einaudi (pagg. 288, euro 18), mette non solo il dito nella piaga ma tutto il braccio, e ne estrae le viscere per vivisezionare l’orribile piaga, ossia: l’amante non è un’isola felice, è un’isola con vulcano in procinto di eruttare e sprofondare annientando e sommergendo i due poveri illusi. La premessa è in un incipit perfetto, da antologia: «Se pensate che gli amanti siano partigiani della felicità; gente abbastanza disillusa da aver capito che l’unico modo per resistere all’andazzo mortifero della vita matrimoniale sia farsene un’altra in cui negare ideologicamente le norme vigenti della prima, e dunque abolire ogni ruolo, ogni dovere, ogni ambizione di stabilità in nome di un unico fine superiore, quello di vedersi quando si ha voglia senza aspettarsi dall’altro più di quanto si dà; bene, se è questo che pensate, allora lasciate che vi dica che non avete la minima idea di cosa state parlando». De Silva, in trecento pagine (molte delle quali esilaranti), smonta la questione con due voci narranti, un lui e una lei, più una terza in seconda persona dove qualsiasi lettore si ritroverà. Perché tutti, in amore e nel tradimento, facciamo le stesse cose per gli stessi motivi.
All’inizio è bellissimo, fare sesso, si respira aria di libertà, incontri furtivi e emozionanti, ma il meccanismo di coppia si riproduce inesorabilmente, e arriva all’improvviso, di punto in bianco, quando meno te lo aspetti. «Perché se ne va?, ti chiedi. E non te l’eri mai chiesto. Perché torna a casa da sua moglie? Cosa ci fa con lei? Con quale faccia mangerà la cena che gli ha preparato, guarderà con lei la televisione, commenterà le notizie del giorno? Ci farà l’amore? A un tratto questa possibilità, a cui finora non avevi dato peso, ti annichilisce».
L’essere umano è fatto per stare in coppia ma è incompatibile alla vita di coppia, bella storia. Non a caso uno dei comandamenti della religione giudaico-cristiana recita: «Non desiderare la donna d’altri», perché è l’unica desiderabile (si noti: non c’è prescrizione per le donne, solo per le lesbiche, al limite, perché il tradimento femminile era punito con la lapidazione, oppure gli ebrei erano l’avanguardia del femminismo, a seconda delle interpretazioni).
Ineccepibile la analisi di De Silva sul comportamento femminile: «Se c’è un difetto che accomuna le donne, è prendere le cose alla lontana. Ogni volta che nasce un’incomprensione o un motivo di attrito, bisogna attraversare una lunga fase esegetica prima di essere edotti su che cazzo gli è andato storto e su cosa ti rimproverano». Io lo capisco fino in fondo, De Silva: ci sono musi che durano giorni. Non giustificano un femminicidio, per carità, ma un suicidio a volte sì, dovrebbe essere un capo di imputazione per la donna che resta: induzione al suicidio per muso protratto tre settimane.
Il punto dolente dei rapporti passionali, l’acido chimico che scioglie ogni passione e la fa sprofondare nella sabbia mobile delle nevrosi, è il senso del possesso, e poi l’abitudine. Marcel Proust, da molti considerato lo scrittore dell’amore, la dannazione dell’abitudine la conosceva bene, e dava una scadenza ai propri rapporti amorosi: diciotto mesi, né più né meno, dopodiché chiudeva (e io ho sempre avuto il sospetto che l’aereo che regalò a Agostinelli e con il quale quest’ultimo morì gliel’abbia sabotato lui, il perfido Marcel).
È un problema senza soluzione: siccome ogni moglie e ogni marito, una volta amanti, tendono a trasformarsi in altrettanti sottomariti e sottomogli, se non si è dei maestri nel lasciare come Proust (o non si hanno i fondi per regalare un aereo), si finirà col cercarsi l’amante dell’amante, e così via, in una matrioska infinita, da diventare scemi. Ci sono le prostitute, ma per quelle buone ci vogliono molti soldi, e poi c’è il rischio di innamorarsi anche lì. Io ormai da tempo ho risolto diversamente, con Youporn. Non costa niente, e chi s’è visto s’è visto. E attenzione, non guardo i porno di Sasha Grey, mi fanno schifo: il mio è amore vero.