Libero, 24 novembre 2015
La Crimea resta al buio. Una nuova seccatura per Putin
Sono ancora interrotte le linee elettriche saltate sabato notte in Ucraina ai confini con la Crimea, la penisola inglobata dalla Russia con l’appoggio della popolazione locale. Un milione e mezzo di crimeani è al buio, nonostante siano mobilitate squadre d’emergenza con 500 generatori diesel e 13 generatori con turbina a gas. Tutto per un attentato dinamitardo che ha abbattuto, nella zona del Chersoneso, i piloni delle quattro linee che portano ai crimeani l’elettricità della compagnia ucraina Ukrenergo.
Sabotaggi finora in sordina a causa del richiamo mediatico degli attentati dell’Isis. La crisi ucraina, però, s’intreccia a quella mediorientale per vie neanche troppo sotterranee. La Ukrenergo promette di ripristinare le linee, ma a impedire ai tecnici di raggiungere i piloni danneggiati, ci sono estremisti ucraini del Pravy Sektor insieme a nazionalisti tatari della Crimea, che hanno avvolto la bandiera tatara sui monconi deformati dei tralicci.
In Crimea i tatari, di ceppo turco-mongolo e religione musulmana sunnita, sono 250.000, il 12% di una popolazione sui due milioni e mezzo di persone. Molti osteggiano l’annessione alla Russia, trovando alleati nel governo di Kiev e negli estremisti ucraini. Il senatore russo Franz Klintsevich ha già definito «un atto di terrorismo» l’attentato. Dietro ci sono i tatari del gruppo “Blocco civile della Crimea”, che in lega col Pravy Sektor ha già tentato di bloccare le importazioni di cibo nella penisola. Un loro capo, Lenur Islyamov, ha minacciato ieri: «Non consentiremo alcuna riparazione finchè i nostri attivisti non saranno liberati».
Kiev ufficialmente formula ipotesi di reato, ma l’atto è congeniale al gioco di pressioni contro la penisola che ha scelto Mosca. Il governo locale della Crimea ha già minacciato, per ritorsione che l’anno prossimo potrà rivolgersi alla Russia per le forniture energetiche, via Krasnodar, tagliando l’ultimo cordone ombelicale con Kiev e facendo perdere preziosi mercati a un’Ucraina già indebitata. Di sicuro, i tatari saldano la crisi ucraina con la questione jihadista, dato che i loro notabili della Crimea si riconoscono nel consiglio del Mejlis, il cui presidente attuale è Refat Chubarov, che però insieme al suo predecessore Mustafa Cemilev lavorerebbe per il fondamentalismo.
Molti tatari hanno mal sopportato il referendum filorusso del 2014 e fra i cittadini ex-sovietici islamici arruolati con l’Isis, seppure la maggioranza siano ceceni, non mancano i tatari. Pochi giorni fa il mufti di Sebastopoli Ruslan Saitvaliev ha ricordato al giornalista italiano Eliseo Bertolasi che sono attivi due gruppi di reclutamento, Hezb i Tharir e i wahabiti di ispirazione saudita: «Insieme hanno mandato in Siria fra 400 e 500 tatari». Vari jihadisti tatari di ritorno dalla Siria, non potendo entrare in Crimea, hanno ripiegato in Ucraina, dove invece non sono fuorilegge, tanto da partecipare al “battaglione Crimea” che lotta contro i secessionisti filorussi del Donbass. A completare il quadro, si pensa che molte armi impiegate dall’Isis vengano triangolate proprio a partire dall’Ucraina e poi veicolate attraverso la frontiera turca. Del resto, la fazione estremista dei tatari crimeani sunniti vede il presidente russo Vladimir Putin pendere verso l’asse sciita fra Teheran e Damasco. Proprio ieri Putin ha partecipato a una grande conferenza in Iran con tutti i maggiori Paesi produttori di gas, annunciando che la Russia aumenterà per il 2035 la produzione di gas di ben il 40% da 578 a 885 miliardi di metri cubi annui. Ma ha parlato anche di strategia globale col premier Hassan Rohani, ribadendo il comune appoggio al presidente siriano Bashar El Assad e concordando l’uso prolungato del comune spazio aereo del Mar Caspio per il lancio di missili contro l’Isis.