Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2015
Russia e Iran non ci serviranno la testa di al Baghdadi o di Assad senza contropartite
La Siria non è soltanto il nome di un Paese e di una guerra ma di tante guerre. Dopo la strage di Parigi è diventata anche la “nostra” guerra: ma non tutti la vedono allo stesso modo.
«Se pensate che l’Iran diventi la fanteria dell’Occidente nella lotta al Califfato vi sbagliate», diceva ieri un alto funzionario del ministero degli Esteri iraniano. Parlava prima dell’incontro tra Putin e la Guida Suprema Alì Khamenei: in questa concisa sentenza si coglie la posizione della repubblica islamica, pronta ad afferrare l’occasione di riciclarsi come alleata contro un nemico comune ma ben decisa a fare valere i suoi interessi.
Russi e iraniani non serviranno agli occidentali la testa del califfo Al Baghdadi o di Assad senza contropartite. Soprattutto – è emerso ieri dall’incontro di Teheran – né gli uni né gli altri hanno intenzione di elargire favori agli Stati Uniti, che per altro sembrano per il momento intenzionati a lasciare agli europei la gestione della minaccia del radicalismo islamico.
Sul destino di Assad le divergenze degli occidentali con Mosca e Teheran non sono sottili e vanno ben oltre la sorte dell’autocrate di Damasco. Al tavolo di Vienna gli iraniani sono stati in linea con la Russia: cosa fare della Siria lo devono decidere i siriani. Sempre che la ex Siria riesca a ricomporsi come stato unitario.
Questa guerra, che sta per diventare anche degli occidentali e della Francia, è prima di tutto un conflitto per procura tra gli sciiti dell’Iran e i sunniti del Golfo con la partecipazione in primo piano della Turchia, membro riluttante delle Nato, che sta combattendo almeno tre battaglie, una del mondo sunnita contro Assad e l’Iran sciita, una contro i curdi, un’altra per la leadership tra i musulmani del Levante. Per questo Ankara è stata fin troppo compiacente nei confronti del Califfato.
Teheran non intende mollare né si capisce perché dovrebbe se si prevede che presto vengano tolte le sanzioni. Obama chiede che Assad faccia al più presto le valigie ma le valutazioni di diplomatici e generali iraniani espresse in una recente riunione riservata sono assai distanti: secondo loro potrebbe restare in sella altri quattro anni. È un’esagerazione, Teheran e Mosca sanno che è a fine corsa, ma hanno investito troppo in uomini, mezzi e denari nel regime. Il prezzo è alto.
Gli iraniani, come i russi, vogliono tutelare un investimento strategico. La Siria di Hafez Assad fu l’unico Paese arabo a schierarsi con Teheran nella guerra scatenata nel 1980 dall’Iraq di Saddam, allora foraggiato dagli emiri del Golfo. E la Siria costituisce il canale di rifornimento di armi per gli Hezbollah libanesi che assicurano all’Iran la proiezione verso il Mediterraneo e Israele. Fedele a questa alleanza Bashar Assad ha rifiutato sia le pressioni di Erdogan che quelle delle monarchie del Golfo che nel 2011 offrirono a Damasco l’equivalente di tre anni di bilancio dello stato siriano per rompere l’alleanza con Teheran.
È chiaro che per l’Arabia Saudita, le petromonarchie e i turchi l’accordo sul nucleare con Teheran è stato un colpo fatale: l’Isis non era più un’arma di pressione nei confronti degli ayatollah utile anche all’Occidente. Questa è una spiegazione del fatto che gli attentati siano arrivati prima in Turchia e poi nel cuore dell’Europa: un messaggio dei jihadisti e dei loro complici sunniti a chi li ha usati lasciandoli poi in balìa dei missili russi e iraniani. Ecco come un guerra lontana è diventata la nostra guerra. Ma siamo sicuri che lo sia davvero? Prima di avviarla l’Occidente dovrà chiedersi chi sono gli amici e i nemici: dati i precedenti e il groviglio di interessi c’è da dubitare che ne sia capace.