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 2015  novembre 24 Martedì calendario

Anche il Brasile è nei guai per l’inchiesta sul doping

«Giù le mani dall’atletica». «Succhiatori di sangue ne abbiamo abbastanza di voi». «Andate a casa, corrotti dello sport». Da due giorni, armati di cartelli con slogan virulenti e di un vecchio megafono, atleti ed ex atleti assediano la sede della federazione kenyana di atletica leggera, a Nairobi. Molte le donne. Reclamano pulizia senza aspettare l’atteso report dell’agenzia mondiale antidoping, sequel di quello che ha devastato la Russia. Gli atleti (tra loro Nicholas Bett, oro nei 400 ostacoli ai Mondiali di Pechino) se ne andranno solo se si dimetteranno Isaiah Kiplagat e David Okeyo, presidente e vice della nazione che ad agosto in Cina ha sbaragliato il campo con le sue 16 medaglie.
Indiscrezioni girano da giorni. Come per i russi, si parla di soldi (700 mila euro sarebbero finiti nelle tasche dei due dirigenti, sottratti al fondo di sostegno atleti pagato dalla Nike, ha rivelato il Sunday Times) e di test antidoping positivi «coperti» per chi poteva permetterselo. Il Kenya domina (60 atleti nei primi 100 delle liste mondiali della maratona) ma tra i fuoriclasse c’è chi sfugge a ogni controllo, chi ha valori ematici da brivido, chi – risultato positivo – ha visto il suo test tornare immacolato. In un’intervista-confessione, Rita Jeptoo, asso della maratona trovata positiva all’Epo nel 2014, ha parlato di un manipolo di medici ospedalieri senza scrupoli cui sono affidati gli atleti di élite. La Wada – per adesso – si è limitata a imporre la creazione immediata di un’agenzia antidoping. Missione quasi impossibile in una nazione poverissima dove rispettare gli standard di laboratorio ed effettuare controlli a sorpresa è un miraggio. Una sanzione pesante è in agguato.
Ma il Kenya non è l’unico a rischiare. Trema la Francia, dove un’inchiesta giudiziaria starebbe per rivelare trame oscure nella federazione, in cui potrebbe occupare un ruolo Gabriel Dollet, il medico arrestato a ottobre e nella cui abitazione sono stati sequestrati 70.000 euro in contanti. In Francia, come del resto nel Brasile che ospiterà i Giochi 2016, in Belgio, in Colombia e in Spagna le agenzie nazionali antidoping sono state dichiarate «non conformi» dalla Wada per via di leggi nazionali non armonizzate con gli standard richiesti. A giugno la Spagna ha finalmente istituito un’agenzia antidoping che però resta un contenitore vuoto. La settimana scorsa il Tas di Losanna ha finalmente cancellato lo scandaloso oro mondiale 2009 della siepista Dominguez, dopata, ma gli spagnoli non l’hanno ancora rimossa dal ruolo di vice presidente federale. Il messaggio Wada è chiaro: o vi date una ripulita o sono guai.
I guai non mancano anche per chi dovrebbe fungere da garante, ovvero la federazione mondiale (Iaaf). La settimana scorsa, durante una lunga intervista televisiva a Channel Four, il presidente Sebastian Coe ha vacillato sotto le bordate della star del giornalismo Jon Snow. «Come mi sarei potuto accorgere di questo disastro?» si è difeso Lord Coe. «Lei è stato per otto anni il numero due federale – ha risposto Snow – e se non ha visto nulla o dormiva o era corrotto». Lord Coe, prima prodigio del mezzofondo, poi deus ex machina dei Giochi di Londra, non ha avuto argomenti per replicare.