La Stampa, 24 novembre 2015
La Francia ha un altro problema: gli autisti islamici
E se un autista di bus rifiuta di prendere il volante perché al turno precedente l’ha preso in mano un’autista con l’apostrofo, insomma un’impiegata donna? Perché capita che dei dipendenti barbuti della Ratp, l’azienda dei trasporti di Parigi, rispondano al saluto dei passeggeri che salgono solo se sono uomini? E che si fa (è capitato) se il conducente ferma l’autobus e si mette a pregare rivolto verso la Mecca?
Vite normali
Uno dei kamikaze di Parigi, per la precisione Samy Amimour, francese, 28 anni, aveva lavorato per quindici mesi, fra il 2011 e il ‘12, proprio come autista della Ratp. Per la verità, non aveva dato mai problemi, e del resto questi terroristi della porta accanto avevano in comune, tutti, il fatto di comportarsi in modo perfettamente normale, senza mai dare nell’occhio. Però il dettaglio dello jihadista al volante fa ridiscutere il problema di conciliare lavoro e osservanza religiosa, almeno nella sua versione più integralista.
Secondo Le Figaro che dedica all’argomento una dettagliata inchiesta, la Ratp è particolarmente interessata. I conducenti di autobus sono 17 mila, e si tratta di un lavoro molto gettonato nelle banlieue più religiosamente «calde». L’azienda replica che simili comportamenti «comunitari» sono molto minoritari: una quarantina di casi censiti su 45 mila impiegati nell’Ile-de-France, lo 0,1 per cento. Però Christophe Salmon, sindacalista della Cfdt, racconta di situazioni ormai «banalizzate», quindi nemmeno più segnalate: dal rifiuto di stringere la mano alle colleghe donne alla domanda di cambiare i turni per il Ramadan. Il problema, evidentemente, esiste: dal 2005 è iscritta nel contratto collettivo di lavoro una «clausola di laicità» che vieta, fra l’altro, di portare segni religiosi, velo compreso; e durante la formazione un sociologo tiene una lezione su «servizio pubblico e laicità».
Sottovalutare i segnali
Però sono state segnalate lamentele sia da parte delle dipendenti dell’azienda (solo il 6% dei conducenti), sia da parte delle utenti, seccate perché l’autista risponde soltanto al «bonjour» dei passeggeri maschi. E casi simili, seppure meno frequenti (o forse solo meno pubblicizzati) si sono verificati ad Air France, alla Sncf (le ferrovie), alle Poste, alla nettezza urbana. Racconta un sindacalista della società Esterra, raccolta dei rifiuti: «Fino agli Anni Novanta e Duemila, tutto andava benissimo con i nostri colleghi venuti dal Maghreb. I problemi sono iniziati quando hanno assunto dei giovani, che ci hanno detto: non ci faremo fregare come i nostri padri».
Sono comportamenti seccanti, ma che possono sembrare poco importanti. Non è così, o almeno non è così in Francia. Un dogma della République è quello della laicità: la religione è un fatto esclusivamente privato, irrilevante nella vita pubblica, tanto che è perfino vietato chiederla nei censimenti (è poi la ragione per la quale non si sa quanti musulmani ci siano esattamente in Francia: si parla di cinque o sei milioni, ma dati certi non ce ne sono). Per i custodi delle virtù repubblicane, il «comunitarismo» è una bestemmia. Tanto che, paradossalmente, Marine Le Pen e il suo Front National hanno fatto della difesa intransigente della laicità, che è una battaglia storicamente di sinistra, uno dei grandi argomenti della loro offensiva contro l’«invasione» islamica. I danni collaterali della tragedia di venerdì sono ancora tutti da censire.