la Repubblica, 24 novembre 2015
Fra i sorrisi dei soldati curdi all’attacco del Califfato. Ormai sono a una trentina di chilometri da Raqqa. È l’inizio della fine di Daesh
Sulla strada di montagna che porta a Sinjar, la fede è proclamata sui serbatoi d’acqua dei villaggi curdi e yazidi: «Il nostro sangue per difendere la nostra terra», dice la scritta con la vernice rossa. Davanti alla minaccia di Daesh, il sedicente Stato Islamico, i curdi vanno all’attacco. Nel punto più alto della strada, compare la bandiera gialla con la stella rossa dell’Ypg, le Unità di protezione popolare, basate in Siria. È sul tetto di una grande base militare, quasi sommersa dalle bandiere sorelle rettangolari, rosse con un cerchio giallo, del Pkk, il Partito dei lavoratori curdi, radicato in Turchia. A guardare con aria severa l’alleanza fra gli eroi di Kobane e i guerriglieri odiati da Ankara c’è un grande ritratto di Abdullah Ocalan, leader del Pkk, detenuto nelle carceri turche. Curdi siriani e curdi della Turchia si sono affiancati ai curdi iracheni nell’offensiva contro i jihadisti a Sinjar, spianata dai bombardamenti della coalizione occidentale.La conquista della città simbolo degli yazidi e la fuga degli uomini di Daesh permette un momento di tregua sul fronte iracheno, intanto che gli strateghi preparano la nuova avanzata verso Tal Afar, ancora in mano dei fondamentalisti. Su Mosul, i curdi preferiscono non pronunciarsi: dopo tutto, la città è abitata soprattutto da sunniti, e non fa parte del Kurdistan immaginato dai leader. Dovrà essere l’esercito di Bagdad a prendere l’offensiva, noi aspettiamo ordini, dice da Sinjar il colonnello dell’intelligence curda Marwan Sabri. In altre parole: per il momento, peshmerga e combattenti curdi filo-comunisti hanno fatto la loro parte, riconquistando la zona degli yazidi.Ma ieri erano le notizie sul fronte siriano a sottolineare che la marcia trionfale dell’Is si è definitivamente interrotta: proprio le milizie dell’Ypg, racconta la Cnn, sono arrivate ad appena una trentina di chilometri da Raqqa. Ad aprire la strada verso la capitale di Abubakr al-Baghdadi sono stati i bombardamenti francesi, moltiplicati da François Hollande dopo gli attacchi terroristici di Parigi. A essi si sono affiancate azioni americane e russe. E secondo testimonianze dei blogger siriani, proprio su Raqqa sono caduti i missili da crociera lanciati dalla flotta russa del mar Caspio, tanto da spingere l’Iraq a chiudere lo spazio aereo ai voli civili.Parigi ha aumentato la pressione anche sulle basi dell’Is in Iraq: i primi cacciabombardieri Rafale sono decollati dalla portaerei Charles de Gaulle, che incrocia nel Mediterraneo orientale. Secondo Pierre de Villiers, capo di Stato maggiore interforze francese, le bombe dei Rafale hanno colpito e distrutto due obiettivi dell’Is. Ma l’offensiva contro Daesh è articolata: ieri sera il bilancio era di 33 attacchi della coalizione (19 in territorio iracheno e 14 in Siria), con obiettivi a Ramadi e Falluja nel “triangolo sunnita” a nord di Bagdad, e in Siria contro Ayn Issa, una trentina di chilometri a nord di Raqqa, e nella provincia di al-Hasakah. In questa località, sottolinea il comando unificato della missione a Washington, il bombardamento ha distrutto un complesso di silos petroliferi per la conservazione del greggio. Ancora più attiva l’aviazione russa: secondo Igor Konashenkov, portavoce della Difesa di Mosca, fra ieri e domenica i bombardieri Sukhoi e Tupolev hanno completato 141 missioni, colpendo 472 obiettivi terroristici fra Aleppo, Damasco, Idlib, Latakia, Hama, Homs, Raqqa e Dayr az-Zor.Fra i soldati curdi i sorrisi sono diffusi. Non ci sono dubbi: è l’inizio della fine di Daesh. A Erbil, fra i pershmerga in addestramento, l’entusiasmo è alle stelle. «Non siamo soli contro il terrore», dice il generale Tawfiq Dosky, comandante della brigata di artiglieria Katyusha. Dei suoi uomini si occupano gli istruttori italiani, ben 120 sui 200 militari del nostro contingente di Erbil. La preparazione di base, sulle tecniche di combattimento, è apprezzata, ma ancora più preziosa è quella contro le bombe: i miliziani del Califfato non si fanno scrupoli a “trappolare” ogni cosa, consapevoli che l’entusiasmo di molti militari curdi può diventare imprudenza.«Mettono cariche esplosive persino dentro il Corano, dentro lattine di Coca-Cola, dentro i cassetti delle case abbandonate», racconta il capitano che guida l’addestramento degli artificieri. Per motivi di sicurezza, i militari italiani non rivelano i nomi e davanti alle tv staccano le targhette di identificazione e si coprono il volto. «Ma i curdi sono straordinari», aggiunge l’ufficiale: «Seguono con attenzione le nostre simulazioni e assorbono in fretta. C’è stato pure chi mi ha fatto notare la traccia di una finta mina che avevo deposto per farli esercitare, due giorni prima. Ed erano stati due giorni di pioggia, avevano cancellato tutto, mi ero persino dimenticato dov’era la bomba da esercitazione». Guldamir, 29enne caposquadra degli artificieri, è un veterano di Sinjar: «Questo training è prezioso, ci salva la vita. Abbiamo perso tanti compagni per lebombe, persino quando abbiamo vinto le battaglie, a Rabiyah, a Zumar. Anche se agli uomini di Daesh non importa perdere i compagni, noi non siamo come loro. Ma combatteremo comunque fino alla fine, fino a quando il nostro Paese sarà libero».