la Repubblica, 24 novembre 2015
Eco, Veronesi, Nesi, Colombo e Kureishi spiegano perché s’imbarcano in questa nuova avventura con Elisabetta Sgarbi: «Siamo pazzi»
Il punto della massima chiarezza è stato anche quello della massima oscurità, quando, racconta Umberto Eco, «si sono incontrate per non capirsi Elisabetta Sgarbi e Marina Berlusconi», non donne incompatibili e incomunicabili per ideologia, ma per antropologia. È da quell’incontro che è nata “La Nave di Teseo”, due legni arcuati e all’insù come simbolo, la nuova casa editrice finanziata dagli scrittori, a partire dai due milioni di Umberto Eco che a 83 anni fa progetti con l’entusiasmo e i rischi di un ragazzo: «Perché il progetto è l’unica alternativa alla Settimana Enigmistica, il vero rimedio contro l’Alzheimer». Velleitari? «Peggio, siamo pazzi».
Ci mettono soldi anche un finanziere- scrittore, il dottor Brera («sì, sono un parente alla lontana») e Jean Claude Fasquelle, un altro giovanotto di 85 anni, l’enigmatico “grande vecchio” dell’editoria francese, noto per i suoi interminabili silenzi e per l’abilità nello schivare le interviste: lo chiamano “l’homme de l’ombre”. E infatti anche adesso, qui in casa di Elisabetta Sgarbi non c’è né lui né sua moglie «perché stanno perfezionando l’uscita dal vecchio lavoro» dice Eco in tono protettivo. La casa di Elisabetta è ricca di cose belle ma non preziose, è il lusso che non luccica. E l’intervista è il contrario di una conferenza stampa: con un unico giornalista, povero e solo, e una bella folla di conferenzieri, colti e famosi.
Capitale totale della nuova casa editrice? «Dai cinque ai sei milioni». Dice Elisabetta: «Entro l’anno prevediamo 51 titoli». Precisa la direttrice amministrativa: «Il peggio è previsto fra tre anni». La sede sarà in via Jacini 6 «generosamente messa a disposizione da Francesco Micheli». La distribuzione e i servizi commerciali? «Gruppo Feltrinelli e Messaggerie, grazie a Carlo Feltrinelli e a Stefano Mauri».
Di fronte a Eco ci sono Sandro Veronesi ed Edoardo Nesi. Accanto a Eco, come sempre, c’è Furio Colombo, un altro vecchio con i calzoni corti: «È una vita che io e Umberto ci dimettiamo, sin dagli anni Cinquanta. Io per esempio quando arrivò Berlusconi al governo lasciai l’Istituto di cultura italiana di New York». E poi c’è Sergio Claudio Perroni, il Cellini degli editor, lo scrittore appartato che non è certo un magnate. Dice Veronesi: «Io lo faccio perché tengo famiglia. Ai miei cinque figli voglio lasciare un’eredità importante, una case editrice infatti è molto più dei miei libri e può davvero cambiare il paese. Rischio i soldi, certo, ma ne vale la pena». Interviene ancora Eco: «Mio nipotino mi ha chiesto: “Nonno, perché lo fai?”. Gli ho risposto: “Perché si deve”».
Ma non temete “l’effetto cooperativa”, quell’angustia di orizzonti culturali da mensa dei poveri, da “alternativi” all’ultima cena? «Non siamo improvvisatori», dice Eugenio Lio, che è un altro azionista, il tecnico giovane, l’editore-talpa. Spiega: «Abbiamo una struttura professionale, mestieri, competenze, un presidente che è un commercialista, direttori e marketing. Siamo una società srl. Altro che cooperativa».
Eco ammette che sanno di rischiare il magnifico fallimento. L’editoria infatti è il modo più elegante per dissipare i propri risparmi, magari in modo lento, ma sicuro. Inoltre in un’epoca non creativa, l’editore può essere destinato all’impotenza. Forse – osservo – un momento più brutto non potevate sceglierlo. Risponde Mario Andreose, che del catalogo della Bompiani è la storia, il Mendel di Zweig, l’artista che ha messo in opera le opere, da Brancati a Sciascia, da Campanile a Bufalino… Andreose crede nella catastrofe come risorsa e racconta che «Valentino Bompiani fondò la casa editrice nell’anno del crollo di Wall Street, nel terribile 1929». E viene fuori che “Zio Vale” era il nome alternativo a “La nave di Teseo”. Racconta Eco, che con Valentino ha lavorato: «Ci davamo del lei. Tutti lo chiamavano “il dottore”. Ma dottore ero anche io. Per ovvie ragioni non potevo chiamarlo “conte”, come faceva la sua segretaria. Dunque gli dissi: “Io, in tutti questi anni, non l’ho chiamata mai e ora che vuoi il tu, ti chiamerò come i tuoi nipoti: zio Vale». Tra i nomi bocciati ci sono anche Cyrano, Caratteri Mobili, Renzo e Lucia, Garamond… Vasa «che è il nome – spiega Eco – di un galeone svedese, ma non è stato accettato perché la casa editrice sarebbe diventata”il Vasa da notte”».
Azionisti sono anche Elisabetta Sgarbi, Mario Andreose ed Eugenio Lio, tre campioni di «un mestiere che non si impara» come spiegava bene Kurt Wolff ( Memorie di un Editore, Giometti& Antonello) al quale Kafka diceva: «La ringrazierò sempre di più per i libri che mi boccia che per quelli che mi pubblica». Dice Edoardo Nesi: «L’editore è una persona, non un’azienda. È un amico che ti segue e ti coccola, non un amministratore che firma contratti e stacca assegni. È il pastore delle tue opere: per 15 anni Elisabetta ha pubblicato libri miei che non avevano neppure l’ombra del successo, e senza mai rimproverarmelo. Non mi ha mai abbandonato. Come potrei non stare qui con lei, adesso? Come potrei non salire sulla Nave di Teseo?».
Guardando Elisabetta, dico allora ad Eco: «Chi è Arianna?». E qui il semiologo prevale sul maestro di ironia: «Teseo è solo un pretesto, un nome come un altro. L’importante è la nave, non Teseo». Ed Elisabetta legge, come a teatro, il passo di Plutarco dove la nave di Teseo è quella che perde e sostituisce pezzi. Adesso nella bella stanza di casa Sgarbi è tutto un discutere di identità, che è il grande tema dell’architettura e delle città, è l’imbroglio delle religioni, e il rifugio delle migrazioni… A un tratto però Eugenio Lio dice pure che «Magris definisce Teseo “colui che si alza e se ne va”». E a Eco piace: «C’è anche Magris tra gli autori Bompiani che sono pronti a seguire Elisabetta». E Tahar Ben Jelloun racconta di un profumiere che aveva comprato la casa editrice che pubblicava i suoi libri: «Mi sono trovato senza un vero editore. Di che parlavo? Di fragranze, di nasi, di muschi? Elisabetta è un editore, la Mondadori–Rizzoli non è nemmeno un profumiere». Ma ecco che, in collegamento Skype, interviene in casa Sgarbi, nientemeno che… Michael Cunningham. Anche lui seguirà il filo di Arianna. E così Nuccio Ordine, con tutte le sue traduzioni di Giordano Bruno, il don Quijote e il Montaigne che ha venduto 15000 copie: «Un’enormità per un classico». E poi ci sono il triestino di Roma Mauro Covacich, la giovane e speciale neo-nevrotica Viola Di Grado, e Hanif Kureishi, che ha scoperto le periferie ben prima di Renzo Piano, e Lidia Ravera che sta volando ancora, e “l’abbandonologa” Carmen Pellegrino, la longseller Susanna Tamaro e, ça va sans dire, Vittorio Sgarbi, capra-capra-capra. Chiedo dei bestseller Paulo Coelho, Houellebecq e Piketty: «Mi sono dimessa stamattina, dammi il tempo di tessere il mio filo». Ecco dunque che Teseo è anche un filo da seguire. Ed è labirinto la libreria, come insegna Borges. E in Teseo c’è l’idea dell’amicizia che è la vecchia Einaudi, la Sellerio di Sciascia… lo statuto morale di ogni casa editrice. Infine c’è il mare che è l’avventura, il pericolo ma anche il porto che mescola le identità. Domando: siete tutti di sinistra? Eco si gira e prende la mano di Pietrangelo Buttafuoco: «In questo momento, tu sei di destra o di sinistra?». E Buttafuoco: «Quando governa la destra sono di sinistra, quando governa la sinistra sono di destra». E racconta: «Il mio primo lavoro è stato il libraio. So dunque quanto fanno male le super concentrazioni alla diffusione dei libri».
Marina Berlusconi ha tentato di trattenervi? «Non ha capito – racconta Elisabetta – perché ce ne andiamo. E soprattutto non ha accettato la possibilità di una nostra autonomia editoriale e gestionale. Neppure comprende a cosa possa servirci. Eppure le abbiamo offerto in cambio l’opera omnia di Eco, di cui Mondadori vorrebbe fare il Meridiano». Eco racconta che rimarranno in mani nemiche Il nome della Rosa sino al 2020, e il Pendolo sino al 2018. Dice Veronesi: «Invece il mio Caos calmo è libero». E Buttafuoco: «Anche il mio Le uova del drago è libero». Dicono in coro Umberto Eco ed Elisabetta Sgarbi: «Non è contro Berlusconi che ce ne andiamo. Ed Elisabetta l’ha detto chiaro a Marina. Se il mega proprietario fosse Nichi Vendola o Fausto Bertinotti per noi non cambierebbe nulla». Elisabetta ha spiegato a Marina che cosa significa «l’appiattimento dell’identità per un editore» e perché «i libri dei grandi autori raramente sono usciti da imprese gigantesche e perché i movimenti letterari più importanti della storia sono stati sostenuti e sviluppati da piccole realtà editoriali…». Dice Eco: «Qualsiasi cosa avesse detto, Marina non avrebbe capito».
E torna la contrapposizione dei tipi, che sono opposti per stile e per educazione, due donne- capitano che non possono stare sulla stessa barca, anzi sulla stessa nave, Elisabetta su quella di Teseo, il fragile e felice legno degli scrittori, e Marina sulla barca dell’industria culturale più grande e più decaduta d’Italia. E infatti l’una parlava di umanesimo cosmopolita e l’altra di azienda, l’una di autori da allevare e l’altra di vendite che non aumentano. Ed Elisabetta fa imbizzarrire Umberto Eco mentre Marina si consulta con Alfonso Signorini.
La libertà di Elisabetta significava l’autonomia della Bompiani, dalla quale non voleva proprio staccarsi, «perché sono monogamica, non mi separo se non quando sono abbandonata». Crede nell’editore come lingua di un’epoca: tradurre e ristampare ma soprattutto scovare e covare. Inizierete presto a litigare? «Abbiamo smesso solo per te. Speriamo di ricominciare presto».