Corriere della Sera, 24 novembre 2015
Un calciatore sta male durante una partita, i compagni si rifiutano di continuare a giocare. Tutti multati. Quando le regole sono sbagliate
Domenica 8 novembre scorso. Partita di calcio a Limite sull’Arno, in provincia di Firenze, in un campetto più terroso che erboso circondato da casette monofamiliari. I padroni di casa giocano contro la Virtus Gambassi Terme per il Girone B del Campionato provinciale Allievi B. Al 32’ del secondo tempo, gli ospiti hanno appena segnato il 3-2 e la palla è al centro, quando un ragazzo del Limite si accascia al suolo in preda alle convulsioni: nel panico generale, a bordo campo si improvvisa un massaggio cardiaco, ma per fortuna un compagno di squadra, quindicenne più pronto degli altri coetanei e persino degli adulti, si piega su di lui e gli estrae la lingua dalla gola che rischia di soffocarlo: le difficoltà respiratorie continuano ma il giovane è salvo, in attesa dell’ambulanza che lo trasporterà al San Giuseppe di Empoli. Il trauma però, lì sul campo sportivo del paese, non passa, qualcuno piange e nell’ansia generale le due squadre, con i rispettivi allenatori, firmano un accordo per sospendere la partita e ripeterla in serenità quando sarà possibile. «È stato un incubo – ha detto Luciano Lari, dirigente della Virtus —, nessuno se la sentiva di riprendere a giocare, eravamo tutti angosciati, giocatori, dirigenti e genitori».
Trascorrono quindici giorni e arriva il verdetto del giudice sportivo: un punto di penalizzazione e multa di 25 euro per entrambe le squadre. Perché il regolamento parla chiaro, solo l’arbitro è autorizzato a sospendere una partita di calcio. Peggio per i giovani calciatori a cui tremavano ancora le gambe per lo spavento. Peggio per loro. Avrebbero dovuto reagire e via, correre a terminare la partita. La giustizia è giustizia: pur riconoscendo – con il linguaggio burocratico che si conviene – che «alcuni valori come la solidarietà, lo spirito di squadra, l’umanità, possano indurre ad adottare decisioni drastiche le cui motivazioni non possono non essere comprese da questo giudice». E per di più precisando che la sensibilità dei giocatori «è indubbiamente una delle finalità principali di questo splendido giuoco».
Finalità, umanità, valori, solidarietà, splendido giuoco (con la u). Tutte magnifiche parole che si infrangono contro l’ottusità del regolamento. A differenza della Virtus, il Limite ha presentato ricorso, «non per il risultato ma per l’insensibilità mostrata verso i ragazzi». Insomma, con tutte le scappatoie che si trovano per revocare condanne a professionisti milionari corrotti, e per inventare pateracchi e mettere pezze nei numerosi scandali che ammorbano il calcio; con tutte le occasioni che la giustizia sportiva avrebbe per elargire punizioni esemplari, ecco un rarissimo caso di inderogabilità delle regole. Coraggio, a volte la legge è legge…