Corriere della Sera, 24 novembre 2015
Contro Costanzo
Nessuno dice niente, come al solito. Quindi significa che tutto va bene. Niente da ridire sul fatto che Maurizio Costanzo, la domenica pomeriggio, sia capo progetto di «Domenica in», la trasmissione di Lucio Presta su Rai1, e la domenica sera, su Rete4, risusciti il suo «Maurizio Costanzo Show». Va bene così, d’altronde in tutti gli anni in cui Rai e Mediaset sembravano una cosa sola, Costanzo era il perfetto uomo cerniera tra il Biscione e la sinistra romana.
Eppure mi era parso che in questi ultimi tempi le cose fossero un po’ cambiate. Ho sentito parlare di «orgoglio Rai», di etica aziendale (gli uomini della Rai sono fieri di lavorare solo per la Rai, per la gloria della Rai), di giacimento professionale (in Rai abbiamo eccellenze in grado di fare tutto). Ho sentito lamenti contro le produzioni esterne, ma si vede che alcune persone godono del dono della trasversalità (e dell’ubiquità).
Forse sono io che sono antiquato. «Antiquato» come lo intendeva Anders Günther: la tv possiede una specie di eternità che a me, povero umano, è negata, condannato come sono alla «vergogna prometeica». Chi fa tv, chi frequenta la tv deve sentirsi immortale! E poi, in certi programmi, anche le persone capaci di non pensare stupidaggini, sono però in grado di dirle.
Va bene così, dunque. A me, nella mia solitudine, non resta che ribadire che Costanzo mi è sempre piaciuto molto poco, pur avendogli dato atto di aver incarnato il genere più diffuso in Italia, il talk. Ma ha anche scritto pagine di tv non esaltante, dall’invenzione della tv del dolore in poi.
Va bene così, si vede che Rai1 aveva un grande bisogno dell’apporto di Costanzo, del suo intreccio di conoscenze, della suo essere libero professionista. Dicono che la banalizzazione sia il prezzo che la comunicazione paga alla sua diffusione ed è indubbio che, da questo punto di vista, Costanzo sia stato un maestro. Maestro anche del piede in più scarpe. Chapeau, manca solo Sky!