il Giornale, 22 novembre 2015
Vivere trent’anni accanto a Kubrick. Un documentario di Alex Infascelli racconta la storia di D’Alessandro, storico assistente del regista
Londra, inverno 1970. Nove e mezzo di sera. Le strade sono coperte di ghiaccio. Emilio D’Alessandro, aspirante pilota, taxista per sbarcare il lunario, accetta l’ultimo incarico: attraversare mezza capitale per recapitare un singolare oggetto.
D’Alessandro, nato a Cassino nel 1941, è arrivato in Inghilterra nel 1960. Prima di scoprire la vera passione, le automobili, ha fatto molti lavori. Nel 1962 si è sposato con Janette. Tutto procede bene. Quella sera Emilio non sa che la sua vita sta per cambiare. Per il momento capisce che c’è in ballo qualcosa di bizzarro. L’oggetto, così ingombrante da spuntare dal finestrino, è un pene bianco che sobbalza come fosse vivo. La consegna va a buon fine. Il fallo entra nella storia del cinema grazie al film Arancia meccanica.
Dopo un paio di mesi, D’Alessandro diventa l’autista di Stanley Kubrick. Beh, autista è riduttivo. Il regista affida all’italiano ogni tipo di incarico. Portargli le armi con le quali si esercita al poligono, supervisionare le pulizie degli uffici, organizzare il trasloco di asini, telefonare a Federico Fellini... Kubrick, infatti, chiama il collega italiano ma impone a D’Alessandro di fare da interprete. Tocca a D’Alessandro comporre il numero. Risponde Fellini. D’Alessandro, per conto di Kubrick, lo interroga su come abbia girato alcune scene. Fellini spiega, poi chiede a D’Alessandro: quali sono i progetti di Stanley? Kubrick, inspiegabilmente e improvvisamente preoccupato, fa chiudere la comunicazione. D’Alessandro: «Mr. Fellini, la saluto da parte di Stanley. Mi dispiace ma in questo momento è occupato in un’altra comunicazione». Clic. D’Alessandro rinuncia al sogno di diventare pilota, ormai assorbito dal nuovo lavoro. Il telefono squilla in continuazione. Il regista vorrebbe installare una linea privata in casa D’Alessandro per essere sicuro di trovarlo sempre. La richiesta è respinta.
Queste e altre storie sono raccontate in S Is for Stanley, documentario di Alex Infascelli sulle tracce di Stanley Kubrick e me (Il Saggiatore, 2012), le memorie di Emilio D’Alessandro scritte con Filippo Ulivieri. E proprio Ulivieri, con Vincenzo Scuccimarra e Infascelli stesso, è sceneggiatore del film, al momento conteso da distributori nazionali e internazionali.D’Alessandro illumina alcune zone del Kubrick privato. Il regista era ossessionato da cani e gatti, la villa-studio di Childwickbury sembrava uno zoo in cui gli animali circolavano liberamente. Era arrivato a stilare un piano dettagliato per salvare gli animali da eventuali incendi, con due macchine a disposizione in caso di evacuazione. Aneddoti come questo rivelano qualcosa del Kubrick uomo ma il documentario va oltre.
D’Alessandro ha visto nascere, passo dopo passo, il mondo artistico di Kubrick. Spesso si è preso cura degli attori. Con Jack Nicholson qualcosa è andato storto durante le riprese di Shining. Jack «era una brava persona ma fino a un certo punto». In auto, aveva il «vizio» di mettere di continuo «qualcosa sulla mano e sniffarla». Inoltre rollava strane «sigarette fatte a mano» che facevano venire l’emicrania a chiunque fosse nell’abitacolo. Altre volte, D’Alessandro ha fatto sopralluoghi di importanza cruciale. Fu lui a trovare l’azienda che fornì le candele necessarie per illuminare il set di Barry Lyndon. Fu lui a scattare le foto della centrale di gas abbandonata e destinata a essere il set di Full Metal Jacket. Il Vietnam a venti minuti da casa Kubrick...
Nel 1991 l’assistente si dimette per tornare a Cassino. Kubrick crede sia uno scherzo. D’Alessandro dà tre anni di preavviso, nel corso dei quali crea un mega inventario affinché Stanley possa fare a meno di lui. Quando tutto è imballato, Kubrick ottiene di rinviare la partenza per due settimane. Diventeranno due anni.
In questo periodo muore il padre di D’Alessandro. Emilio rompe ogni indugio. Alla festa d’addio, regista e «autista» sono in lacrime, restano quasi senza parole. Dopo una settimana, Kubrick inizia a telefonare in Italia, vorrebbe che D’Alessandro tornasse. Fino a questo momento, Emilio non ha mai visto i film di Stanley perché «troppo lunghi». Ora ha tempo libero e capisce che razza di genio fosse il suo «principale».
Nel 1996, la famiglia D’Alessandro torna in Inghilterra per fare visita alla nipote. Emilio e Stanley si incontrano, sono entrambi emozionati. L’italiano si informa sul nuovo film, Eyes Wide Shut. Kubrick racconta: «L’ho interrotto ma, se tu resti, riprendo». Emilio resta e questa volta recita con Tom Cruise. Stanley lo vuole accanto in tutte le riprese. La salute del regista peggiora. Mentre i due stanno cercando la location per la celebre scena dell’orgia, Stanley si attarda a fare fotografie. Fa freddissimo. D’Alessandro esce dall’automobile e trova Kubrick in stato confusionale. Dopo aver spedito negli Stati Uniti il primo montaggio di Eyes Wide Shut, il regista è esausto, non riesce a spezzare la pasticca per il gatto. Deve respirare con la bombola d’ossigeno. Muore poco tempo dopo, il 7 marzo 1999. «È come se fossi tornato per perderlo di nuovo» dice D’Alessandro con gli occhi lucidi.
Cos’è la vera amicizia? Può essere un sentimento che nasce per caso e si rafforza nel corso di un viaggio, a volte bello, a volte brutto. Lungo la strada si parla poco: ci sono tante avventure da vivere insieme e non servono grandi discorsi per capirsi. S Is for Stanley è soprattutto la toccante storia di una amicizia durata trent’anni.