il Giornale, 22 novembre 2015
Le quotazioni in Borsa di Sotheby’s sono in picchiata. Pessimo segnale per l’economia mondiale
I dipendenti di Sotheby’s non hanno fatto in tempo a felicitarsi del brillante esito delle aste newyorchesi di novembre, con oltre un miliardo di dollari incassati grazie anche al celebre «Mao» di Andy Warhol, piazzato a 47,5 milioni. Non appena acceso il computer, venerdì scorso, una mail li ha informati che il loro posto di lavoro è ora in pericolo. Per contenere i costi ed evitare licenziamenti, la società offre la più classica delle soluzioni: uscite volontarie incentivate. Nessun obbligo, ma se le adesioni saranno insufficienti, sul personale calerà per forza la scure.
È il segnale che la plurisecolare casa d’aste inglese non naviga in buone acque. Nel terzo trimestre i ricavi sono scesi del 9%, con perdite pari a 17,8 milioni di dollari. Ma è soprattutto l’andamento del titolo, quotato al Nasdaq, a riflettere una situazione precaria: negli ultimi sei mesi, le Bid (è il ticker a Wall Street di Sotheby’s) sono crollate di quasi il 40 per cento sotto i 30 dollari.
Per la verità, storicamente, queste azioni hanno come tratto distintivo discese ardite poi seguite da altrettanto mirabolanti risalite. Al punto che qualche analista le ritiene un importante indicatore dei periodi di bolla finanziaria e un altrettanto significativo segnalatore delle recessioni in arrivo.
Qualche esempio? Nel 1990 il titolo cavalcò la japanese bubble schizzando in pochi mesi da 10 a circa 30 dollari, anche in considerazione del fatto che il Giappone era diventato il centro di gravità del mercato internazionale dell’arte; stesso comportamento nel 2000, in occasione dell’ascesa delle dot.com, con le Sotheby’s prezzate a 40 dollari; e stessa musica otto anni più tardi, all’apice della bolla dei mutui Usa (50 dollari).
Sembra insomma esserci una stretta correlazione tra i momenti di euforia e lo stato di salute borsistico della casa d’aste britannica. Non è del resto casuale il fatto che, a partire dal 2009, le performance del Luxury Index Europe abbiano battuto nettamente quelle dell’Eurostoxx50. Abbastanza logico, considerato che nei momenti di espansione economica chi ha forti disponibilità finanziarie tende a investirne una quota anche in opere d’arte e a premiare i titoli azionari delle maison che le collocano sul mercato.
Ma, al tempo stesso, le case d’asta sono anche le prime a indicare un deterioramento del clima congiunturale che si traduce in una diminuita fiducia e, quindi, in una minore propensione a impiegare la liquidità di cui si dispone. Anche da parte dei ricchi. Il crollo patito nell’ultimo semestre da Bid potrebbe insomma il sintomo premonitore di una recessione in arrivo. È già accaduto, peraltro. E parecchie volte. Una caduta del 40% di Sotheby’s in Borsa ha infatti anticipato le crisi in cui sarebbe scivolata l’America nel 1990-91, nel 2001 e nel 2007-2009, periodo quest’ultimo di recessione globale e di Borsa dominata dall’Orso; lo stesso è accaduto nel 1994, all’epoca del default del Messico; e, successivamente, nel 1998 (crisi asiatica) e anche in concomitanza con i più recenti guai della Grecia.
Semplici coincidenze, forse. Ma l’andamento depresso di Sotheby’s al Nasdaq, che va a sommarsi a un quadro congiunturale assai poco brillante (Cina e Paesi emergenti in frenata, ripresa europea a rischio e Usa non proprio in splendida salute), e da qualche settimana anche al clima di terrore seguito alle stragi di Parigi, non va sottovalutato.