Libero, 22 novembre 2015
Marco Rizzo è rimasto comunista. E si candida a sindaco di Torino
Poiché con Marco Rizzo si entra in un altro pianeta, è d’uopo una premessa. Il cinquantaseienne Rizzo è un vero comunista staliniano. Un comunista che è stato solo in partiti che ne portavano il nome e che abbandonava appena lo ripudiavano. Oggi, è segretario e fondatore di un Partito Comunista sorto nel 2014 e di cui è il solo personaggio noto essendo le altre anticaglie – Diliberto, Ferrero, ecc – sperse nella diaspora. I seguaci di Rizzo sono giovani, soprattutto di Torino, la sua città. Me ne ha mostrato le foto e ho potuto ammirarli col pugno chiuso mentre cantano l’Internazionale. «Ti faccio notare» mi ha detto «che sono normali e sbarbati. Nessuna affinità con i mamozi dei centri sociali e altri contestatori professionali». Per Marco, infatti, il comunismo è ordine, lavoro, rispetto della vecchiaia e della piccola proprietà. Con questo bagaglio di idee, si è appena candidato per le elezioni di primavera come sindaco di Torino contro l’uscente, Piero Fassino.
«Se penso che tu di Libero sei qui per intervistarmi» dice Marco appena sediamo nell’ufficio di un noto gallerista romano che ci ospita «e mai una volta che mi chiamino i Santoro e gli altri sinistri dei talk show. Con noi al potere, quelli lì farebbero la fame». «Non sei in, se alla tua età ti intestardisci col comunismo», dico.
«Sono nato in una famiglia povera» replica. «Calavo il letto dalla parete per dormire. Tiravo di boxe, lo sport più popolare, per autodisciplina. Mi sono laureato in Scienze Politiche mentre lavoravo e a 34 anni sono diventato deputato (Rifondazione comunista, ndr). Un salto di classe che ho messo al servizio di altri come me. Dopo tre legislature nazionali ne ho fatta una al Parlamento Ue e nel giorno del commiato ho tenuto questo discorso: “Quando eravamo giovani sapevamo che la Rivoluzione non era un pranzo di gala. Ma per alcuni di noi, invece è stato solo quello”. Se non sei rigoroso nelle idee finisci allo champagne di Fausto Bertinotti, che oggi si proclama addirittura liberale». «Lui si adegua» dico ridendo, «tu sei senza speranza».
«Io saprei dirigere uno Stato e se avessi il potere farei il comunismo anche con i non comunisti, come te. La presenza di un partito comunista obbligherebbe a tenere conto delle fasce deboli», dice. «Ma che significa comunismo nel 2015?», mi informo. «Governare, opponendosi al pilota automatico inserito dalla Ue. Non siamo così cretini da credere che questa struttura di potere abbia cacciato Berlusconi per le sue allegre serate. Lo ha fatto perché è andato per la sua strada, accordandosi con Putin per il gas e con Gheddafi per il petrolio. Come fu travolto Craxi dopo Sigonella. La politica dà ai cittadini la possibilità di dipingere il treno di bianco o di giallo, anche di scegliere il manovratore, ma il treno va nella direzione stabilita da quel potere sovranazionale che ci imprigiona. Il capitalismo però» e qui Rizzo assume il tono ispirato dell’aruspice «è agli sgoccioli. La crescita è al limite. Già manca delle risorse per orientare il consenso e si riduce a guidare il dissenso. Una fronda di Sua Maestà attraverso movimenti informi come i Cinquestelle, Podemos, Syriza. Prima incanalano la protesta poi, come ha miseramente dimostrato Alexis Tsipras, si piegano ai padroni del vapore. Ma è un espediente di corto respiro. Dopo toccherà a noi».
Questo concettoso discorso risuona tra quadri astratti e informali della bella galleria scelta da Rizzo per l’incontro. I soli dipinti figurativi e quasi realistici, come un’eco dell’arte sovietica, sono quelli di Marco che è un valente pittore e uomo di mille talenti. Tra questi, anche la padronanza di un eccellente spagnolo come constato quando un compagno madrileno, per un’esigenza rivoluzionaria di colà, lo impegna in una fluviale telefonata. Marco parla sicuro, dà indicazioni secche, si alza sulla sua bella altezza, moltiplicata da una dieta che lo rende più slanciato, e cammina a grandi passi agitando la testa calva alla Lenin. È l’effige stessa della Rivoluzione in marcia. Mi ricorda anche Jean Reno, per quel suo fondo buono.
Come comunistizzerai l’infelice Torino se diventassi sindaco?
«Opponendomi alla regola Ue che impone il patto di stabilità. Mandano i carabinieri? Io schiero i vigili. Oggi, un sindaco è solo un kapò fiscale».
Ovviamente, requisirai gli alloggi sfitti.
«Solo quelli delle grandi Immobiliari, in combutta con le giunte di sinistra. Guai, invece, a chi tocca la casa per la dote della figlia».
Comunismo peronista?
«Mi interessano le alleanza politiche con i tassisti che votano Fratelli d’Italia, il piccolo commerciante che vota Lega, ecc».
Ti ritroverai contro Fassino, tuo avversario di gioventù, prima di stare insieme nel Pci.
«Io stavo nei Collettivi comunisti. Picchiavamo quelli dei licei classici perché erano figli di papà e, stando in seconda linea, lasciavano a noi le manganellate».
Fassino invece?
«Era nella Fgci, polli in batteria che arrivavano alle manifestazioni con la valigetta ventiquattrore».
Voi gridavate: “Fassino”...
«Lui voltava la sua testa di spilungone sopra la marea della folla e noi urlavamo: “Lungo e cretino”. Ora dice di non essere mai stato comunista, come Walter Veltroni. Mentivano allora o mentono oggi? Mentono sempre».
In quarant’anni si cambia.
«La politica senza idee ferme non ha ragione d’essere. Il capitalismo ha ucciso la politica per avere consumatori: nascere, produrre, consumare, crepare».
Di che letture è fatto il tuo carapace comunista?
«Salgari, Tex Willer e un comizio di Giancarlo Pajetta a 16 anni. Poi, occupazioni e cortei».
Salgari?
«Sandokan coalizzava i deboli contro i soprusi. Detesto anche le prepotenze quotidiane».
Ma se siete sempre voi di sinistra ad assolvere i malandrini!
«Io di sinistra? Ti querelo. Io sono comunista. La città col comunismo sarebbe sicura. Assurdo che un anziano debba temere scippi e truffe. In un regime come lo intendo io le pene sarebbero severissime. Non c’entriamo nulla con la sinistra radical-chic, corretta e buonista».
Sparare a chi ti entra in casa?
«Per difendere i miei figli (Rizzo ne ha tre, ndr) non ho bisogno di pistole. Bastano i miei pugni per farli uscire in barella. Il piagnisteo radical-chic non fa per me».
Non tutti hanno le tue nocche.
«Sono per l’inasprimento delle pene, anche triplicarle, più che per le armi da fuoco».
Del tuo ex sodale, Bertinotti, hai detto che è una mannequin.
«È l’antitesi di un capo comunista che è determinato, modesto e deve crederci. Lui non ne ha una».
Nichi Vendola: “Poeta del nulla”. Definizione tua.
«Quando parla non si capisce da dove parta e dove arrivi. Troppo attento ai particolarismi borghesi: moschee, gay, diritti. Ma la differenza è tra ricchi e poveri. Negli anni ’50, un gay ricco la sfangava. Era il gay povero a non essere accettato».
Se fossi premier, a quale paradiso comunista di ispireresti?
«All’Urss fino al 1953, morte di Stalin. Mai Paese al mondo ha avuto eguale capacità di progresso ed eguaglianza».
Matteo Renzi, simbolo dell’attuale sinistra.
«Un dipendente del sistema. Se sgarra, viene licenziato. Quelli dell’altra sinistra che si scagliano contro di lui, i Bersani e i Fassina, non hanno un’altra idea di società ma vorrebbero solo essere al suo posto».
L’immigrazione è il sole dell’avvenire?
«No di certo. Il sistema punta a ridurre i diritti dei lavoratori. Cosa meglio di milioni di africani e arabi disponibili a lavorare a metà prezzo? Alla Merkel i siriani colti. I poveri diavoli al Sud Europa. Bisogna rivoltare il guanto».
Ossia?
«Non dare agli immigrati i diritti borghesi – la moschea, la tradizione – ma i fondamentali comunisti: la parità sociale e i diritti sindacali. Vieto il velo e le moschee e ti do l’eguaglianza nel lavoro. Così, togli pure ossigeno allo jihadismo».
Abolire il presepe per Natale?
«Preferisco il presepe al Mc Donald».
Strage di Parigi. Islamismo criminale o giusta reazione per le colpe francesi?
«Terrorismo e imperialismo: due facce della stessa medaglia. Hanno ucciso Gheddafi per il petrolio, dando via libera all’Isis finanziato da Arabia, Turchia, Usa».
Canteresti la Marsigliese con i francesi?
«Sì, con l’aggiunta dell’Internazionale».
Bombardare l’Isis?
«Appoggerei militarmente i Paesi presi di mira dall’Isis e dall’imperialismo. Starei, perciò, con la Siria di Assad come sarei stato con la Libia di Gheddafi».
Hai detto: “Con le donne sono un delinquente abituale”.
«Acqua passata. Oggi ho la pressione alta e prendo i betabloccanti. Calma piatta».