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 2015  novembre 22 Domenica calendario

Il giorno in cui il calcio perse la verginità. E sulle maglie dei giocatori spuntarono gli sponsor.

Le due squadre sono pronte a scendere in campo: prima divisione tedesca, Eintracht Braunschweig, una provinciale, contro Schalke 04. L’arbitro osserva le maglie dell’Eintracht, qualcosa non va. Sfodera un righello e prende le misure dello stemma sulla casacca: un cervo. Da corna a corna sono 18 centimetri. «Nein ! Non va bene, fuori regolamento, superati i 14 centimetri». La partita rischia di saltare. Si discute, si sfogliano le norme federali. Poi prevale, all’italiana, l’interpretazione elastica e la palla va al centro per il fischio d’inizio.
Nessuno lo sa in quel momento, 24 marzo 1973. Ma è il giorno in cui il gioco del calcio diventa un po’ meno gioco e un po’ più business. E il tifoso un po’ meno tifoso e un po’ più «fruitore del prodotto calcio». Le maglie perdono la sacra verginità. Lo sponsor si è gattopardescamente camuffato da stemma della squadra. È la prima volta. L’amaro Jägermeister rompe un tabù. Eppure le regole federali lo vietavano, solo lo stemma del club era permesso sulle divise. E allora, che cosa aveva fatto l’Eintracht? Un’assemblea straordinaria dei soci che a stragrande maggioranza pensionò lo storico simbolo cittadino del leone rosso rampante, da sempre stemma della società, per sostituirlo con il cervo della Jägermeister, pronta a versare 100 mila marchi. Risolto il nodo del diametro, i vertici federali bevvero l’amaro calice e lo sponsor sulla maglia fu sdoganato.
Con i liquori il calcio ha flirtato alla grande, in passato. Poi sono arrivati i prodotti alimentari, all’avanguardia nel marketing, gli elettrodomestici, le auto, le compagnie aeree, multinazionali ma anche la trattoria sotto casa (Ristorante Due Mari, nella disgraziata stagione 2014-2015 del Parma). E perfino gli sponsor che durano solo 90 minuti: una partita e via.
Ora solo in Italia il giro d’affari del main sponsor, quello stampato a centro maglia, viaggia su 90-100 milioni annui ma in alcuni casi è un circolo vizioso, come vedremo. Senza contare i soldi che arrivano dallo sponsor tecnico, ovvero il fornitore dell’abbigliamento sportivo (Nike, Adidas, Kappa ecc): altri 100 milioni nei portafogli della Serie A, con le big (Juve, Inter e Milan) sopra i 20 milioni e le altre in coda. Il gap è ancora enorme, sempre sul fronte dello sponsor tecnico, con il Manchester United per esempio (105 milioni annui fino al 2025) o con il Bayern Monaco (60 milioni fino al 2030), entrambi targati Adidas.
Vien da sorridere a ricordare oggi la geniale manovra del presidente del Perugia, Franco D’Attoma, anno 1979. Il pastificio Ponte era pronto a tirar fuori 400 milioni per comparire sulle casacche ma le norme federali autorizzavano unicamente il logo della ditta produttrice delle divise. Cosa si inventò D’Attoma? Semplice, una linea sportiva con il nome del pastificio Ponte. Il cervo della Jägermeister aveva fatto scuola.
Secondo le analisi di settore, le 98 squadre di calcio dei 5 più importanti campionati europei (Inghilterra, Germania, Spagna, Italia e Francia) realizzano oltre un miliardo di ricavi tra sponsor di maglia e sponsor tecnici. Però non è tutto oro quello che luccica. Da un parte alcune squadre di A sono tuttora senza sponsor sulla maglia. Dall’altra i soldi provengono, almeno in parte, dalle aziende riconducibili alla proprietà. Lazio, Roma e Palermo appartengono alla prima categoria. Colpisce la Roma che ha la grande vetrina della Champions. Ma nel frattempo pare siano stati avviati contatti con due colossi come Microsoft e Google. Alla seconda categoria è da ascrivere, per esempio, il Sassuolo. Incassa 22 milioni dallo sponsor ufficiale Mapei che però è anche il proprietario del club. In parte è così anche per il Chievo con la Paluani, co-sponsor, o per il Carpi con Gaudì Jeans.
Lo sponsor-spot (una partita, solo le trasferte, eccetera) è un’evoluzione degli ultimi anni. Così come un portafoglio di numerosi marchi da far girare (vedi Chievo). «Le aziende investitrici hanno in questo modo la possibilità di impostare campagne mirate. È una flessibilità che permette, soprattutto ai club di seconda e terza fascia, di attrarre investitori», spiega a «la Lettura» Manuel Ferretto, laurea in economia, specializzazione in marketing, master in pianificazione delle aziende sportive, appena 26 anni e assunto dall’Hellas Verona come responsabile dei rapporti con gli sponsor. Una volta si sganciava il grano e poi ci si rivedeva dopo un anno. «Ora è una vera partnership. Noi seguiamo gli sponsor in molti eventi, li creiamo ad hoc, è un contatto stretto che non finisce con la partita ma è continuo anche in sinergia con gli altri partner commerciali».