Corriere della Sera, 23 novembre 2015
Gli americani non faranno più sperimentazioni sugli scimpanzé. Non tutti gli scienziati sono d’accordo
È una buona notizia che i National Institutes of Health in Usa abbiano «dismesso» gli ultimi 50 scimpanzé tenuti per la sperimentazione. Non tutti i ricercatori concordano, reclamando che mali dell’umanità come epatite e Hiv hanno ancora bisogno di test su nostri parenti strettissimi come gli scimpanzé. Il dibattito sulla sperimentazione con animali ha una lunga storia fatta di etica, emotività, legittime pretese di salute e sicurezza. Homo sapiens da sempre fa uso di altri animali per la propria sopravvivenza. Lo faceva, per fame, il cacciatore del neolitico con la differenza che lui rapidamente uccideva, mentre nei laboratori si prolunga la sofferenza. Sofferenza che è accertata soprattutto in scimmie antropomorfe che hanno il 98% di Dna identico al nostro. Soffrono psicologicamente perché, come per noi, isolamento, deprivazione sociale, inducono stress e depressione. Vien da chiedersi che valore possano avere test su individui così alterati nel fisico e nella mente. Ogni passo indietro è dunque importante. In Europa non si utilizzano scimmie antropomorfe nella sperimentazione e la legislazione, recepita anche in Italia, fa proprio il principio cosiddetto delle 3R. Rimpiazzare ovvero sostituire appena possibile il modello sperimentale animale con altri protocolli. Ridurre il numero di individui. Rifinire le condizioni per contenere le ricadute sugli animali. L’impegno vero è tuttavia ottenere risultati utilizzando colture cellulari e non gli animali in toto e, forse, non siamo lontani.