La Lettura, 22 novembre 2015
Un bazar digitale mette in vendita i cimeli degli amori finiti. La fondatrice: «Tutti si occupano dell’innamoramento, nessuno dei cuori spezzati»
Ci sono un collo di pelliccia abbandonato in un armadio, diversi abiti da sposa, qualche anello con brillanti (veri e finti) e persino una bottiglietta di ketchup lasciata a metà. Nel grande bazar online degli amori finiti di Never Liked It Anyway la compravendita non incontra snobismi. Vale solo una regola: liberarsi degli oggetti delle relazioni passate per guardare al futuro.
A quasi quattro anni dalla nascita, avvenuta nel gennaio del 2012, il sito fondato per gioco da tre amiche di New York, è diventato una start-up del recupero sentimentale. Oltre al commercio di cimeli d’amore (mille quelli venduti fino a oggi), Never Liked It Anyway – letteralmente, «Comunque non mi è mai piaciuto» – ospita le testimonianze degli ex amanti, articoli e interviste sul tema e le cosiddette «scatole del recupero» (con prodotti per il trucco, caramelle, vibratori, «buoni» per il sito d’incontri Match.com), mentre le tre fondatrici Bella Acton, Cassie Ciopryna e Brianna Porter sono al lavoro su un libro, un film e una trasmissione televisiva. A cosa si deve questo successo? Lo spiega Bella Acton a «la Lettura» dalla sua casa di Manhattan: «Si parla continuamente di innamoramento e di amore, mentre l’ambito della “rottura” è molto poco servito».
Lo scrittore Clancy Martin, autore di Adulterio in America Centrale (Indiana Editore), due matrimoni alle spalle (un terzo in corso) e un talento nel narrare le complicazioni dell’eros, è d’accordo: «Passiamo molto tempo a discutere di anatomia dell’innamoramento e delle unioni che funzionano e analizziamo poco la struttura dei cuori spezzati e l’ossessione che si sviluppa verso l’amor perduto».
La ricerca
In controtendenza, la Northwestern University di Chicago ha dedicato uno studio – pubblicato a gennaio sulla rivista scientifica «Social Psychological and Personality Science» – sul processo emotivo e cognitivo che accompagna la fine di una storia. «La nostra cultura è focalizzata più sull’inizio che sulla fine dell’amore – racconta alla “Lettura” la responsabile dello studio, Grace Larson – eppure la maggior parte delle relazioni finisce! Questo rende ancora più difficile affrontare la separazione, perché ci sentiamo circondati solo da storie positive, e viviamo la nostra battaglia in solitudine».
La ricerca condotta dal team di Larson ha mostrato che – in fase di divorzio – condividere le proprie esperienze con altre persone «aiuta a stare meglio più velocemente». All’inizio dell’esperimento, la ricercatrice della Northwestern University era convinta che i pazienti – proprio perché costretti a elaborare e parlare continuamente della relazione finita – avrebbero impiegato più tempo a reagire e lo avrebbero fatto con maggiori difficoltà. È successo l’opposto: «Quelli che hanno sviluppato e condiviso una narrativa della loro storia, alla fine dell’indagine erano maggiormente pronti a chiudere il capitolo».
Non è solo la capacità di soddisfare il bisogno della compartecipazione a fornire alla fortuna di Never Liked It Anyway una base scientifica. Una parte fondamentale nel processo di elaborazione del lutto amoroso è giocata dal nostro rapporto con gli oggetti. Ty Tashiro, autore del bestseller The Science of Happily Ever After (Harlequin Books), spiega a «la Lettura»: «La neurobiologia insegna che le persone più lente a superare una relazione finita sono quelle il cui cervello si attiva maggiormente in presenza di oggetti legati al partner».
Per ricominciare, dunque, c’è innanzitutto bisogno di liberarsi di tutti quei piccoli simboli del passato.
Le storie
Nel caso della confezione «aperta» di ketchup, la bottiglietta messa in vendita su Never Liked It Anyway rappresenta l’abisso che separava Nikki dal suo fidanzato: «Ci sono cose che semplicemente stanno male insieme – scrive la donna sul sito per presentare il suo prodotto —. Pensa al ketchup: io adoro l’aceto, il sale, il pomodoro etc. Ogni ingrediente preso singolarmente. Ma se li unisco, quegli stessi ingredienti mi provocano il vomito». La sua relazione era simile al ketchup: «Divisi siamo persone adorabili, ma insieme non potremmo essere peggiori».
Englishkat offre per 1.200 dollari il suo abito da sposa: «Credevo che sarebbe durato per sempre, che avrei dovuto conservarlo con cura per passarlo un giorno a mia figlia. E invece sono riuscita a liberarmi da una relazione opprimente e adesso sono pronta per un nuovo inizio». La donna non si è limitata a mettere in vendita il suo abito, l’offerta è accompagnata da una serie di fotografie del giorno del matrimonio in cui il volto dello sposo è sfocato.
Alcune vicende trasmettono l’immagine di un’America lontana dalle riviste e dalle trasmissioni patinate. È il caso di Ald e della pistola Red Ryder BB del «futuro ex marito». Nella scheda del prodotto dichiara che può avere una funzione catartica: «L’ho tenuta per me, per sparare alle bottiglie vuote nel mio cortile. È un formidabile anti-stress: posizionare bene la lattina di birra vuota e sparare via la rabbia».
Gli utenti
L’utenza del sito non è solo femminile, Bella Acton ha spiegato che il 20% dei venditori sono uomini. Navigando tra le offerte, si scoprono storie di maschi abbandonati, alle prese con i tentativi di rifarsi una vita: come Jonathan, che ha messo in vendita per cento dollari un collo di pelliccia lasciato dalla sua ex la quale, mentre lui era via per lavoro, l’ha lasciato per un altro. O i due biglietti per Il fantasma dell’opera comprati per un viaggio a New York, rimandato (e pagato) più volte, e mai realizzato.
Viene da chiedersi se nell’epoca dell’eterna permanenza digitale, in cui, nonostante la nostra volontà, le persone e le cose restano in rete «per sempre», abbia davvero senso la liberazione da un oggetto fisico. «Siamo bombardati da informazioni – spiega Clancy Martin —, così che le singole particelle sembrano avere poco valore online, sicuramente meno delle lettere d’amore o delle fotografie stampate. Certo, puoi perseguitare il tuo ex su Facebook o guardare continuamente i suoi messaggi e le sue mail e illuderti che cancellandoli si può segnare un nuovo inizio. Ma non credo che la falsa memoria del digitale cambi davvero le cose, forse dobbiamo imparare a trovare un modo per incorporarla nella struttura più ampia del lutto, del pentimento e del rialzarsi».
Imparare a soffrire
Nel bestseller Sposalo! (Vallardi), Lori Gottlieb dedica un capitolo all’impatto di internet sulle relazioni amorose: «Ho imparato che la tecnologia ci permette di entrare in contatto con molte più persone di quelle che normalmente incontreremmo – dichiara – ma questo, allo stesso tempo, ci pone davanti alla possibilità di passare da una relazione insignificante all’altra».
È quello che il sociologo Barry Schwartz chiama il paradosso della scelta: abbiamo bisogno di scelte, ma troppe possono essere distruttive. Per Gottlieb, internet ha sostituito la comunità nel ruolo di mettere in contatto le persone tra di loro, ma allo stesso tempo ha creato l’idea che «tutti sono rimpiazzabili facilmente»: «Veniamo percepiti più come commodity – dice – che come esseri umani».
Generazione Tinder
Se è vero, come scrive Werner Bartens in La scienza delle coppie che durano (Urra/Feltrinelli), che già dopo i primi sei/dodici mesi si esaurisce l’apice del romanticismo e della «voracità sessuale», molte unioni della «generazione Tinder» (con riferimento alla popolare app per incontri) salterebbero da un picco all’altro per non affrontare il lutto della perdita e quel dolore così marginalizzato dalla cultura pop dominante.
Un’esagerazione? Probabilmente. Eppure è la stessa Bella Acton che conferma questa tendenza anche nel caso di Never Liked It Anyway : «Ci concentriamo per far sentire i nostri utenti positivi e sani. In fondo lo scopo del sito è portare le persone a vedersi nuovamente favolose; non certo tristi, crudeli e scure!». E forse, un po’, ci riescono davvero.