La Stampa, 22 novembre 2015
A giorni arriverà il decreto del governo per la quotazione di Ferrovie e per la privatizzazione. Intervista al ministro Delrio
Ministro Delrio, i vertici delle Ferrovie sono nel caos. Il numero uno di Rfi è stato arrestato per corruzione. Il presidente e l’amministratore delegato del gruppo, nominati meno di un anno fa, sono in pessimi rapporti: le indiscrezioni raccontano che avete chiesto le loro dimissioni. Tutto questo mentre il progetto di privatizzazione è in ritardo. A che punto siamo?
«Stiamo lavorando al dossier Ferrovie da tempo. Il decreto del presidente del Consiglio per l’avvio della quotazione della società è quasi pronto, questione di giorni. Da quel momento si avvierà una nuova fase anche per i vertici aziendali».
Sul tavolo avete due opzioni: vendere insieme la rete e i treni, oppure scorporare Rfi da Trenitalia e mettere sul mercato solo la seconda. Avete preso una decisione in merito?
«La mia opinione, sulla quale credo stia convergendo il governo, è che l’infrastruttura debba rimanere in mano pubblica. Gliela dico più esplicitamente: io sono contrario alla quotazione della rete insieme ai treni. In tutta Europa l’infrastruttura ferroviaria è a maggioranza pubblica e neutrale, al servizio dei cittadini e della concorrenza. Persino in Gran Bretagna, dove era stata malamente privatizzata, la rete sta tornando sotto il controllo dello Stato».
Un argomento a favore della quotazione della rete è che si incasserebbe di più.
«Una volta salvata la maggioranza pubblica dei binari, sono disposto a discutere di ogni altra soluzione su quanto e come quotare il resto, a partire da Trenitalia».
Sia sincero, se qualche anno fa si fosse fatta la stessa cosa per Telecom oggi avreste un problema in meno. O no?
«Questo lo lascio dire a lei. Mi permetta invece di dire che sono molto soddisfatto per i nuovi investimenti nella rete, e non solo per l’ammodernamento dell’Alta velocità. Ci sono stanziamenti per la nuova linea Napoli-Bari, i valichi alpini, le linee regionali minori».
Ieri avete lanciato il sito Opencantieri. Non è il primo tentativo di rendere più trasparenti gli appalti. Stavolta funzionerà?
«Senza dubbio. Servirà a conoscere in tempo reale lo stato di avanzamento delle opere pubbliche. In questa prima fase i cittadini troveranno on line alcuni importanti investimenti per strade, autostrade, ferrovie e per il Mose. Via via allargheremo la copertura».
Sul ponte di Messina lei e Renzi la pensate diversamente?
«La pensavo e la penso come il premier: ci sono diverse priorità da realizzare, poi si potrà iniziare a discutere di Ponte. Sarebbe ridicolo farlo finché la situazione delle infrastrutture nel Mezzogiorno non cambia».
Parte delle spese che avete programmato dipendono anche dal sì europeo alla clausola per gli investimenti. Sono 5 miliardi di maggiore flessibilità su cui l’Europa ha rinviato il giudizio a marzo. Non è preoccupato?
«Stiamo discutendo nel merito, i contatti con Bruxelles sono continui, ma sono ottimista. Abbiamo fatto i piani per porti, aeroporti, riformato il codice degli appalti, il mercato del lavoro, la scuola, il bicameralismo. Possibile che questi sforzi non vengano premiati?».
A Bruxelles c’è chi teme che il deficit italiano torni a essere fuori controllo. O no?
«Per riprendere la strada della crescita occorrevano investimenti in una logica keynesiana. Con la modifica del Patto di Stabilità i Comuni potranno spendere fino a tre miliardi in più. L’Anas potrà finalmente programmare le spese nell’arco di un quinquennio, e non più anno per anno. Abbiamo prorogato e ampliato il bonus casa e il bonus mobili, che daranno nuovo fiato all’edilizia. Questa è anche la migliore risposta a chi, con la tattica del terrore, sta intaccando le prospettive di crescita dell’Europa».
L’Europa è attraversata da un’ondata di panico, da una limitazione alla libera circolazione che rischia di deprimere i consumi. Come uscirne?
«Dopo il fallito attacco sul treno Thalis partecipai a un vertice a Parigi fra i ministri europei dei Trasporti e degli Interni. Durante quella riunione ci facemmo esattamente questa domanda. La risposta che scegliemmo fu più cooperazione dentro ai confini del Continente, fra le forze di sicurezza e le intelligence. Io non sono favorevole ad abolire Schengen. Capisco le ragioni di chi chiede un rafforzamento dei controlli ai confini, ma non può essere quella l’unica risposta».
Lei ha ben nove figli. Avrà discusso con loro di quel che è accaduto. Che cosa gli ha detto?
«L’altro giorno ho fatto un breve viaggio in Algeria, ed erano molto preoccupati per me. Ma la verità è che ad essere minacciati oggi non sono tanto gli obiettivi sensibili, quanto i luoghi della nostra quotidianità. Come ha detto bene Renzi, i terroristi di Parigi non hanno puntato una caserma o un luogo di potere, ma un ristorante, una sala concerti, uno stadio. Ecco, non dobbiamo chiuderci in casa. Significherebbe darla vinta al Califfato».